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Si fa presto a dire DAD

gio 18 mar 2021 • By: Alberto Mosca

Pandemia e scuola, problemi e soluzioni: una riflessione sui piccoli alle prese con un mondo non sempre su misura per loro

“Maestra, mi senti?”. Nel colore di quella vocina non c’era solamente una preoccupazione di tipo tecnologico, ma l’ansia di non essere ascoltati, considerati. Di non essere. Una paura ancestrale, che spesso non notiamo, specialmente nel rapporto tra adulti e piccoli.

Quando si parla di scuola “in presenza”, qualcosa di alternativo e peggiorativo scivola inevitabilmente verso un’“assenza”. Ieri ho assistito il mio Gabri, 6 anni, prima elementare, nel suo terzo giorno in didattica a distanza. Compito facile, fare il regista che apre il microfono quando il bambino vuole intervenire o viene interrogato dall’insegnante, che cerca la pagina tale del librone tale, che raccoglie la matita caduta per terra, che gli dice di stare composto quando ormai la soglia di attenzione è scesa sotto il livello di guardia.

Ma in realtà c’è di più. Una ventina di bambini tutti sullo schermo, ognuno specchio dell’altro, che con grande disciplina (ne sono rimasto ammirato) e sotto la guida paziente ed empatica dell’insegnante cercano di andare avanti nella meravigliosa avventura dell’imparare di tutto e di più. Nonostante le difficoltà di un tempo durissimo che, preso su mille fronti, più di una volta si è dimenticato dei più piccoli.

Nel primo lockdown il Gabri andava alla materna: chiuso tutto, per fortuna a casa nonni abili e arruolati e una stimolante primavera trascorsa col nonno nell’orto.

Stavolta, in prima, dopo un autunno e un inverno passati senza troppi intralci, nella zona rossa quaresimale e pasquale arriva questa nuova modalità.

Una novità all’inizio presa con la giusta dose di emozione (“Per la prima volta userò il computer…”) salvo poi accorgersi, dopo un giorno, che alla fine la scuola a scuola è un’altra cosa. “Ti piace la scuola col computer? No! Perché non posso stare 'veramente' con i miei amici e sto per diventare matto!”. Letterale.

Sono bastate due ore di assistenza per vedere come l’impegno ci sia, l’ordine alla fine anche, ma come i momenti più veri siano quelli in cui i bambini intervengono parlando della lezione e di loro stessi, comprese le piccole avventure, e poi i saluti finali tra compagni: liberando la voce, con qualche battuta, con i saluti estesi a maestre, maestri, amici degli amici.

Manca la relazione, quella vera, quella che quest’inverno faceva dire al Gabri “mi piace andare in mensa perché finalmente posso parlare con i miei amici”.

Dall’altra parte ti consoli pensando che, dopotutto, in prima elementare i nostri non hanno pietre di paragone: per loro la scuola avrebbe potuto essere sempre così, giocoforza una specie di caserma piena di ordini e regole stringenti, comportamenti ripetuti, prudenti e distaccati. Dal cortile alla porta d’ingresso vi è un percorso a zig zag, angolato, differenziato a seconda delle classi: in realtà quei limiti sono immaginari, lo spazio è aperto, ma non ho mai visto nessun bambino “tagliare” gli angoli, anche solo per far prima. Questo è il segno. Quei vincoli non sono più immaginari, in quelle testoline sono reali, dei muri. La fine della creatività, della sfida, della trasgressione che fa crescere.

C’è anche in questi giorni chiede a gran voce la riapertura immediata delle scuole; altri hanno proposto, anche solo in prima e seconda, di mandare i bambini in vacanza fino a Pasqua per recuperare tutto nella seconda metà di giugno. Posizioni che hanno le loro ragioni.

Dopo questa mattina di assistenza al mio seienne, al netto di tutte le difficoltà logistiche che ogni famiglia in misura diversa si trova ad affrontare, chiuderli per tre settimane senza nessun contatto con quella seconda famiglia che sono le insegnanti e i compagni, credo sarebbe stato anche peggio.  

Quando tutto questo sarà finito, ricordiamoci del prezzo pagato dai più piccoli alla pandemia e agli sbagli degli adulti: a sei anni si dimentica e si ricomincia, ma più si va avanti con l’età più questa operazione di rimozione, di elaborazione, di “reset” diventa difficile.  

“Maestra, dove sei andata?” ha esclamato preoccupata una bambina in un momento di defaillance della famigerata connessione: la risposta, da qui in avanti, non può che essere una, “siamo qua”. Presenti.  


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