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Ma se si fossero arresi?

ven 25 mar 2022 • By: Alberto Mosca

Quando un popolo decide che libertà e sovranità valgono come la vita

Quando si accende il dibattito sul tema “Gli ucraini devono arrendersi o no?” mi vengono alla mente le scene iniziali de “Il Gladiatore” di Ridley Scott. Ricordate? Sul campo dell’imminente battaglia finale tra Roma e i Marcomanni, Quinto esclama: “Un popolo dovrebbe capire quando è sconfitto”, per sentirsi rispondere dal generale Massimo: “Tu lo capiresti? Io lo capirei?”.

A un mese dall’inizio della guerra d’Ucraina, non solo gli aggrediti non sono sconfitti, ma mantengono una qualche capacità di arginare l’offensiva russa. Segno evidente che molti dei calcoli fatti dagli invasori si sono rivelati sbagliati. Putin pensava di entrare in Ucraina da “liberatore” dopo una guerra lampo: il presidente ucraino fuggito, lo stato dissolto, i "nazisti e drogati" debellati. Prova ne è la logistica adottata all’inizio di questa folle impresa, con linee di rifornimento impreparate ad una guerra lunga. Prova ne è l’uso di militari di leva. Tanto che ora si dice: "Ci concentriamo sul Donbass".

Mentre la guerra via via si impantanava, a fronte di un totale squilibrio delle forze in campo, con i russi decisamente superiori per potenza di fuoco e quindi pronti ad un’avanzata lenta ma inesorabile, si sono poi prefigurati scenari bellici che forse in pochi si aspettavano.

Metti i russi, tradizionalmente forti nell’artiglieria e nella missilistica, ma in carenza di fanteria, che combattono come nella Seconda guerra mondiale, con i mezzi corazzati in linea ma senza attività di ricognizione e intelligence sul campo degna di tal nome, con perdite ingenti e 6 generali uccisi che qualcosa dicono sui difetti della catena di comando al fronte; metti dall’altra parte unità piccole e autonome, guidate via satellite, con armi da spalla capaci di abbattere velivoli e distruggere carri: javelin, spike, stinger, nomi diventati familiari nelle cronache quotidiane. Metti infine ucraini che lottano con un’ideale, mentre per molti fanti russi credo rimanga un mistero il motivo per essere lì a sparare a un popolo fratello. 

Così, il quadro che si presenta dopo un mese dall’inizio è quello di una guerra che si sta trincerando, riorganizzando: rimangono negli occhi le rovine di Charkiv e Mariupol, devastate dai bombardamenti, mentre la paura è che si arrivi ai livelli disumani di distruzione visti a Grozny e più recentemente ad Aleppo; fino a paventare l’uso sciagurato di armi chimiche o addirittura nucleari tattiche, mentre già si sono viste tragicamente all’opera bombe termobariche, a grappolo, al fosforo (smentito dai russi), vietate dalle convenzioni internazionali.

Dopo un mese, l’Ucraina non si è arresa: nonostante l’evidenza, almeno iniziale, sostenuta dalle armi e dagli uomini da tempo e a diverso titolo arrivati da Occidente, nonostante gli inviti politicamente sospetti e talvolta ipocriti a farlo. Esortazioni che in qualche caso non avevano a cuore la salvezza di un paese aggredito, ma solo una sorta di “arrangiatevi, non coinvolgeteci, lasciateci in pace”, nell’illusione di rimanere fuori da una guerra che dal punto di vista umanitario, politico, economico, ambientale, presenterà il conto comunque. A tutti e per molto tempo. Certo che la strada diplomatica va perseguita con costanza e determinazione. Ma per dialogare occorre essere in due disposti a farlo, almeno. E pacifismo non deve fare rima con egoismo.

Giochiamo a “se si fossero arresi?” Pensiamo alle poleis greche contro i Persiani, ai comuni italiani contro Barbarossa, ai tirolesi contro Napoleone, al 1940 e alla resistenza europea contro il nazismo. Ricordiamoci come l’arrendevolezza iniziale dell’Europa di fatto incoraggiò l’espansione violenta della Germania hitleriana, arrivata fino a un punto, l’invasione della Polonia, dopo il quale era impossibile girarsi dall’altra parte. Ricordiamoci le cariche della cavalleria polacca contro le colonne corazzate tedesche.

Gente che non si è arresa, che ha messo la libertà allo stesso punto di valore della vita, andando oltre ogni evidenza del momento. Libertà, che nemmeno nel XXI secolo possiamo barattare per un litro di gasolio. Specialmente se è quella altrui.


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