Skin ADV

La transizione energetica oltre la sfida tecnologica

ven 27 mag 2022 • By: Nora Lonardi

Lo sviluppo delle fonti rinnovabili non è solo una questione economica, ma anche sociale

Nel momento in cui scrivo, nell'attesa universale di uscire al più presto da questa drammatica evoluzione di un conflitto che pure si trascina da anni e su più fronti, possiamo già prevedere che quanto sta accadendo - qualunque sia l'esito sul piano del conflitto in sé - non soltanto inciderà sugli equilibri geopolitici mondiali, ma avrà, come già constatiamo, anche forti ripercussioni nell'ambito delle risorse energetiche, questione balzata in primo piano fin dall'inizio di questa guerra (oltre ovviamente all'orrore della stessa).

Non è certo di mia pertinenza ipotizzare quale sarà o, più plausibilmente, quali saranno le soluzioni esistenti e/o potenziali più efficaci al fine della cosiddetta transizione energetica (in Italia nazionale integrato per l'energia e clima per gli anni 2021-2030), oggi più che mai necessaria e nel contempo complicata. Dal mio punto di osservazione vorrei invece portare alcune osservazioni a carattere sociale e culturale.

Di fatto lo studio sullo sviluppo e l'impiego di fonti rinnovabili non rientra soltanto nell'ambito delle scienze fisiche, ingegneristiche ed economiche. Seppure finora l'approccio sia stato effettivamente centrato e orientato quasi esclusivamente in questo senso, sempre più frequentemente viene considerato centrale anche il ruolo delle scienze sociali, per diverse ragioni, che possiamo di seguito esplicare.

Anzitutto, come sostiene Natalia Magnani del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell'Università di Trento nel suo volume “Transizione energetica e società - Temi e prospettive di analisi sociologica” (edizioni Franco Angeli), l'attenzione della ricerca si è concentrata più sull'Hardware che sul Software, ossia gli aspetti umani e sociali. Diversamente, alcune indagini sociologiche condotte sul campo e prese in considerazione dall'autrice (ma anche da altri studiosi) hanno fatto emergere come le comunità e le relazioni sociali siano determinanti in questo ambito, a partire dall'atteggiamento e dal grado di accettazione nei confronti di impianti e tecnologie per le energie pulite. Non sono rari infatti i “comitati dei no” quando si discute sull'installazione di infrastrutture di vario genere per sfruttare le fonti rinnovabili. E non si tratta soltanto della contrapposizione di interessi concorrenti (ad esempio impianti eolici offshore e industria turistica, o impianti fotovoltaici realizzati in aree agricole), né delle contraddizioni che pure emergono all'interno delle correnti ambientaliste stesse, che seppure genericamente favorevoli alle rinnovabili temono l'impatto potenziale delle installazioni sulla salute, sul paesaggio e sull'equilibrio naturale. Anche la cosiddetta sindrome Nimby (non nel mio cortile) appare un'interpretazione riduttiva della contrarietà manifestata verso progetti e infrastrutture per il rinnovabile su un determinato territorio. Il nucleo della questione sta nel fatto che spesso le localizzazioni individuate, e che per ragioni di indubbia validità i pareri tecnici ritengono adeguate all'installazione di un particolare impianto, spesso non sono dei siti neutrali, bensì “territori intessuti di elementi simbolici o emozionali, memorie, storie e miti, e anche di relazioni e dotazioni di capitale sociale (…)”.[1]

Ne deriva che i processi di transizione energetica, con tutto ciò che richiedono, non possono essere semplicemente imposti o introdotti con benefit di vario genere. Non è sufficiente. Devono essere “accompagnati”; anzitutto attraverso confronti partecipativi all'interno dei processi decisionali, quindi tramite un'informazione diffusa riguardo a rischi, benefici, impatto delle tecnologie impiegate, ma anche approcci tesi a individuare i modi in cui la tecnologia può essere adeguata al luogo, non ne alteri la specificità, consenta la continuità con il passato, nonché la capacità di “incorporare l'innovazione tecnologica nella struttura relazionale”. Ciò implica un'analisi sociologica delle persone e delle comunità con le quali si deve interloquire, della loro storia, dei valori sociali e culturali.

Ma anche dell'immaginario collettivo e delle effettive conoscenze.

Poiché, e qui subentra un ulteriore fattore dirimente, l'opinione pubblica nella maggioranza dei casi (esperti e portatori di interesse a parte) non è propriamente ferrata in tema di tecnologie energetiche. E così come accade in generale riguardo a temi particolarmente complessi e di forte rilevanza pubblica, rispetto ai quali si trovano poche o fin troppe informazioni, si tende a cadere in quelle che sono definite distorsioni o scorciatoie cognitive, ossia strategie psichiche che inconsapevolmente adottiamo per risparmiare tempo ed energia (mentale) nel comprendere questioni complicate, ripiegando su stereotipi, pregiudizi, sentito dire, opinioni politiche, informazioni attinte in rete o da persone per noi significative. Il che può indurre ad accettare o al contrario a rifiutare in modo del tutto irrazionale ciò che è nuovo rispetto a credenze consolidate e pratiche quotidiane, e soprattutto a respingere ciò che viene percepito come potenzialmente peggiorativo del proprio stile e luogo di vita.

Ragion per cui, tornando allo specifico tema della transizione energetica, l'attenzione va rivolta da una parte alla conoscenza dei luoghi in rapporto alle relazioni comunitarie, ma pure al tema dei consumi e del risparmio, anche qui non in termini esclusivamente tecnici, bensì sul piano dei comportamenti quotidiani e della reale consapevolezza delle persone. Il mondo “ricco” (non sappiamo fino a quando) è ormai abituato a sprecare energia oltre il necessario, quasi senza rendersene conto e anzi a richiederne sempre di più, non comprendendo nemmeno ciò che questo significa, e noncurante del fatto che esista un limite massimo oltre il quale non si può e non si deve andare. Secondo IEA (International Energy Agency), l’umanità (soprattutto quella più industrializzata) ha iniziato a consumare più di quanto la terra produca. Una volta assodato che le fonti fossili (carbone, petrolio, gas naturale) prima o poi si esauriranno e che comunque devono essere abbandonate o quanto meno “ripulite”, pena la distruzione del pianeta, e anche ammesso che si riesca a sfruttare sempre più fonti rinnovabili inesauribili e bastevoli per tutta l'umanità (sole e vento, ad esempio), è difficile pensare che questo non porti alla lunga e fra tante possibili altre ipotesi, anche a una proliferazione di infrastrutture a ciò necessarie. Per non parlare della questione nucleare: è ancora un'alternativa attuabile e proponibile? La domanda è: quanto siamo preparati a questo, cosa potrà comportare tutto ciò, oltre che in termini di ricadute sull'ecosistema globale, sul piano dei comportamenti e delle relazioni umane?

Se la transizione energetica non si accompagna a un forte investimento sul fronte culturale, sull'etica del risparmio, sull'autolimitazione dei consumi, non si andrà molto lontani. E questo forse è il vero centro della questione.

Come Alessio Giacometti intitola un proprio intervento, molto probabilmente “La transizione energetica non sarà facile né indolore” (https://www.iltascabile.com/scienze/transizione-energetica/). È difficile immaginare questo processo senza che si spalanchi “la vertigine di un futuro che rimane incerto, in cui l’energia disponibile potrebbe essere inferiore a quella che abbiamo oggi”. Se l'umanità continuerà a confidare nei grandi avanzamenti tecnologici che hanno portato al modus vivendi odierno - basato sullo sfruttamento e profondamente iniquo -, se anche le tecnologie rinnovabili in qualche modo incontreranno dei limiti che la natura stessa (nella sua ciclicità e imprevedibilità) ci pone, e se non arriveremo a condividere un diverso approccio al benessere, a un cambio di rotta inevitabile e irreversibile, a un'ottica di sviluppo più in termini di progresso sociale che materiale, “(…) allora scopriremo quanto può essere rovinosa, o liberatoria, l’inversione di marcia nella corsa del progresso. Chiamiamola senza alcuna vergogna 'decrescita', felice o infelice avrà davvero poca rilevanza”.


[1]    Da un'intervista di Daniela Patrucco a Natalia Magnani, https://www.qualenergia.it/articoli/transizione-energetica-fattori-umani-e-sociali-non-possono-essere-trascurati/


Riproduzione riservata ©

indietro