Buon Natale, è l’augurio che normalmente ci si scambia in questo periodo, quando i cristiani ricordano la nascita di Gesù, il figlio di Dio.
A me è successo un fatto che può sembrare sconcertante, ma che a pensarci bene, non lo è affatto. Ho rivolto l’augurio a un conoscente. L’ho fatto con la gioia di chi conosce il senso della festa che si sta per celebrare. Con stupore mi sono sentito rispondere: «Cosa vuoi dire? Buon Natale consumistico? Buone compere di bei regali? Buona visita ai presepi che ornano le strade e le piazze di quasi ogni paese?» Ho tentato di rispondere che per me il Natale è altro, pur rimanendo colpito e perplesso su quanto avevo sentito.
Non c’è dubbio infatti che il senso religioso del Natale sia andato perduto in gran parte. E non c’è però da meravigliarsi. Per molti è un vago ricordo di quel che vivevano quando erano bambini e oggi è fin troppo facile vivere questa festività senza Cristo. Ho letto da qualche parte: «anche se Cristo nascesse mille e diecimila volte a Betlemme, a nulla ti gioverà se non nasce almeno una volta nel tuo cuore». E’ proprio questo l’augurio più bello e più vero. Se non accadesse mai, a che servirebbe il Natale?
Si può augurare buon Natale ai bambini che muoiono di fame, a chi soffre terribilmente per le ferite della guerra, a chi è solo e abbandonato e che vive magari non troppo lontano da noi. Rischia sempre di essere un augurio che non ha senso, che si ferma superficialmente alle parole tramandate da una tradizione che non c’è più senza nessun impegno perché qualcosa cambi.
Eppure quel piccolo bambino di Betlemme, per il quale non c’era posto fin dalla nascita nel suo paese, subito ricercato, condannato e profugo in Egitto perché il re Erode voleva ucciderlo, è l’emblema di ogni essere umano non accolto, guardato con sospetto, rifiutato.
Amato solo da Dio, suo Padre. Nella sua predicazione lo ha più volte ribadito con parabole e ammonimenti. Pensiamo solo alla parabola del buon samaritano, pensiamo al racconto del giudizio finale per capire quella frase luminosa: «Tutto ciò che avete fatto a uno solo di questi piccoli, l’avete fatto a me». Capire davvero il Natale è comprendere che nella nascita di Gesù, Dio si abbassa, abbandona ogni grandezza divina per farsi in tutto un essere umano.
Lo spiega bene Massimo Recalcati: «Il Dio cristiano è un Dio spogliato di ogni attributo metafisico e abbassato alla dimensione finita dell’esistenza, destinato scandalosamente alla nascita e alla morte» (La legge del desiderio, pag. 113). Adagiato sulla paglia di una stalla, inizia il suo cammino di fedeltà alla terra. E fedeltà alla terra per quel bambino, che pare smarrito nel buio di un’umanità piegata soltanto su se stessa, significa donarsi perché la vita sia luce e gioia per tutti. Non si impone a nessuno. Si propone a tutti. E’ presente nell’abbraccio della mamma al suo bambino, nella tenera carezza di due fidanzati, nel silenzio meditativo dei preti che si accingono a celebrare il mistero della sua nascita, nei medici e infermieri che negli ospedali e in ogni altra parte sanno far tornare il sorriso sui volti provati dal dolore, e anche nel pianto di chi spera di rinascere alla vita senza continuare a soffrire.
Non è facile accogliere questo Gesù. Non lo hanno accolto nemmeno i suoi concittadini, non lo possono accogliere oggi coloro che «rifiutano i primi principi dell’accoglienza, che sono un sano concetto di Dio e dell’uomo, il senso creaturale, la coscienza del proprio peccato e il bisogno di salvezza». (Carlo Maria Martini: Il Natale pur nella tristezza dei tempi, pag. 79) Natale è una promessa e un impegno: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse». (Isaia 9,1-2)
Questo è un messaggio diretto a ciascuno: puoi diventare luce quando sei capace di stringere la mano a chi è diverso da te per nazionalità o religione, per modo di pensare e progettare. Il Natale è tempo di speranza, che invita ad aprire gli occhi per vedere quanto di questa festa nasce e rimane nel cuore di tante persone, di giovani e anziani, di chi sa vivere con responsabilità i rapporti con tutti, di chi si fa prossimo dei poveri e dei senza speranza. Grazie a loro, in una grotta di Betlemme, illuminata solo dalle stelle e in ogni parte del mondo torna a nascere il figlio di Dio e il suo nome sarà per tutti «principe della pace», della bellezza del vivere quotidiano.
Buon Natale dunque a chi ama ed è amato, a chi tende la mano per rialzare chi è caduto, a chi sa di non meritare l’amore immenso di Dio, e a tutti, perché tutti sono amati da Dio.

