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La crisi del prete e delle comunità cristiane

dom 19 set 2021 13:09 • By: Renato Pellegrini

La prima parte di una riflessione sul senso della missione del sacerdote nella società contemporanea

VALLI DEL NOCE. Ha ancora senso il prete oggi? Non è una figura anacronistica? Probabilmente potremmo rispondere che, per molti, il prete è proprio un personaggio d’altri tempi, un po’ fuori dal mondo, dal modo di pensare delle donne e degli uomini d’oggi. Sono molti i fattori che concorrono a provocare una simile situazione. Prima di tutto l’avanzare del fenomeno della secolarizzazione, che rende superfluo o inutile ogni sentimento religioso. Dio non è più contestato, come accadeva nell’Ottocento; oggi Dio è semplicemente ignorato. Mi viene da pensare che al massimo può essere una specie di passatempo, una imposizione perché così fan tutti, per bambini e adolescenti fino al tempo della cresima. Poi si saluta garbatamente e si esce di chiesa senza sbattere la porta e senza ritornarvi.

Anche la scienza e la tecnologia hanno la loro responsabilità: oggi sono loro ad assumere un carattere di sacralità e assolutezza fino quasi a diventare una «nuova religione». Il prete non può che apparire in questo contesto come il portatore di una visione arcaica dell’esistenza destituita di ogni credibilità. Le indagini sociologiche sulla “religiosità” degli italiani confermano la verità di questo assunto. Il mondo giovanile, ce ne possiamo rendere conto facilmente, non è soltanto molto lontano o del tutto assente dalla pratica religiosa, ma non è più nemmeno scalfito dalla domanda su Dio e sull’aldilà. In grande maggioranza vivono «come se Dio non esistesse», e non avvertono alcun senso di malessere.

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«La loro vita ha altri riferimenti e la domanda di senso riceve risposte sufficienti nell’adesione ai criteri valoriali di ordine mondano». (Giannino Piana).

Il Vangelo dunque è messo fuori gioco, perché si presenta come un’alternativa controcorrente, e il suo annuncio cade fin troppo facilmente nel vuoto. Un tempo il prete proprio nel far conoscere il Vangelo aveva il suo spazio apprezzato ed era seguito da molti. Oggi invece è sempre più solo, anche se, va detto, vi sono ancora elementi positivi sui quali andrebbe fatta una approfondita analisi. Certo è che cambia completamente lo scenario in cui il prete deve esercitare la sua attività. Si pensi alla perdita di ogni ruolo sociale in cui in passato il prete godeva e si noti la distanza che oggi si è creata tra lui e la gente, la quale non ha soltanto abbandonato la tradizionale pratica di partecipazione alla messa domenicale ma, in parte minore, anche il ricorso ai sacramenti. Anche in Italia si assiste infatti a una consistente e continua diminuzione dei battesimi, delle cresime e comunioni, dei matrimoni, per non parlare della confessione, che appare ormai prigioniera di una crisi senza ritorno. Dappertutto il crollo della pratica religiosa è evidente ed è retaggio della popolazione anziana che progressivamente scomparendo. Tutto questo non può che provocare nel prete un profondo stato di frustrazione e solitudine, che trova sbocco alcune volte nella ricerca di compensazioni affettive o in forme di arroccamento, che rifiuta tutto ciò che fa parte del mondo moderno. A questo poi segue il rifugiarsi in una cura esteriore maniacale della liturgia e il ritorno ad abitudini del passato come il ritorno all’abito talare. Forse si vuol dire che non ci si vuol contaminare con il mondo fonte di pericolo. E allora c’è ancora spazio per la missione del prete? E, se c’è, come è possibile ricrearlo? Nonostante tutto, a mio avviso, la risposta alla prima domanda è positiva, perché, è indubbio che è presente anche nella coscienza dell’uomo contemporaneo un bisogno religioso, spesso latente, che occorre far emergere con pazienza, rendendo soprattutto testimonianza, non solo individuale ma comunitaria, all’attualità della proposta evangelica. «Da questo punto di vista il passaggio da una chiesa di massa, propria del regime di cristianità, a una chiesa che ha sempre più i connotati di pusillus grex, (un piccolo gregge, o un piccolo gruppo) se toglie, da una parte, rassicurazioni istituzionali, favorisce, dall’altra, la possibilità di un ritorno alle origini, del ricupero cioè della più genuina tradizione cristiana. Non meno importante poi, rimanendo alla visione di chiesa, è la definizione di “popolo di Dio” offerta dal Vaticano II, con il passaggio da una concezione piramidale con al vertice la gerarchia, a una concezione che identifica la chiesa con la comunità dei credenti che hanno pari dignità in ragione del battesimo.» (Gianni Piana, già docente di etica cristiana alla Libera Università di Urbino e di etica ed economia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino). (Continua) 



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