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Tornare in chiesa. Per fare cosa?

dom 07 giu 2020 09:06 • By: Renato Pellegrini

Noi e il ritorno delle celebrazioni dopo il lockdown. Una riflessione domenicale di don Renato Pellegrini

Sono tornate le celebrazioni: tutti (o quasi) felici per poter tornare in chiesa. Ma a fare che cosa? Ad ascoltare la Parola di Dio, a pregare il Padre che quella parola si traduca in vita, a nutrirsi dei Corpo di Cristo per diventare cibo per i fratelli? Questo sarebbe l’auspicio.

La realtà è, secondo la testimonianza di alcuni, che si torna davvero al «prima», quando i fedeli andavano ad «ascoltare la messa» a volte con aria annoiata e sperando comunque che il tutto non occupi troppo tempo… Non si può certo negare, però, che le comunità cristiane abbiano sofferto, talvolta anche in modo pesante, le regole del distanziamento sociale: chiese chiuse, celebrazioni sospese e interruzione delle attività pastorali.

Di fronte a quanto deciso dal governo ci sono state reazioni molto diverse; c’è stato chi ha deciso di chiudere tutto e subito e chi invece ha difeso il diritto a chiese aperte e alla possibilità di continuare le celebrazioni, rispettando le regole dell’autorità sanitaria.

Ci si è comunque incamminati non tanto verso la ripresa di un autentico sentimento religioso (quasi scontato in tempo di paura), ma verso una pietà individuale, sostenuta da una forte emotività. Sono aumentate molto le messe in streaming, che sono poi apparse come l’unico modo con cui i preti hanno provato a colmare la distanza imposta dalla chiusura dei luoghi di culto.

Dal mio punto di vista, tutto questo impone qualche riflessione.

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Anzi tutto questo modo di agire ha messo in evidenza fin da subito la lontananza del popolo di Dio dal celebrante, chiamato a fare tutto e lasciando tutti i fedeli a fare da spettatori. Il Concilio Vaticano II (1962 – 1965) aveva cercato di superare la liturgia derivante dal Concilio di Trento (1545 – 1563), «sottraendo i fedeli a quella situazione di estraneità della celebrazione eucaristica tipica della messa tridentina».

Molti si ricorderanno ancora che la lingua parlata era il latino, che la lettura e lo stesso Vangelo venivano letti in latino, che mentre il sacerdote celebrava per conto suo, le donne recitavano la corona… Da una parte c’era il sacerdote celebrante, la persona decisamente più importante, anzi l’unica importante, e dall’altra c’erano i fedeli, spettatori di ciò che avveniva sull’altare. Ora le cose sono cambiate. Alla messa tutti hanno la possibilità di partecipare consapevolmente e attivamente. Questo perché la celebrazione eucaristica rappresenta e realizza l’unità dei fedeli che formano in Cristo un solo corpo.

È quasi retorico a questo punto domandarsi come possa realizzarsi e significare questa unità una messa senza popolo. La messa sul web o alla televisione, possibile in situazioni straordinarie, potrebbe allentare ancora di più i legami, riducendo il popolo di Dio a soggetto virtuale, che è di fatto privato del pane eucaristico. E poi, dall’altra parte, c’è il prete che celebra da solo…

Certi nostalgici si sono lasciati sfuggire di fronte a questa situazione frasi del tipo: «Adesso finalmente è chiaro chi celebra», «Adesso è ristabilito il giusto ordine.» Sono segni piuttosto chiari di un clericalismo rinascente, che riduce nuovamente i battezzati al ruolo di spettatori e comparse. Forse abbiamo perso un’occasione, quella di invitare ed aiutare a leggere e meditare la Parola del Signore. I cattolici sanno poco del Vangelo, ma è solo il Vangelo che può dare le motivazioni per partecipare ai sacramenti e vivere il messaggio di Gesù. Oggi la fede religiosa diventa sempre più, anche nei nostri paesi, una scelta personale e individuale, più che un bene da condividere con altri, che ha anche una valenza comunitaria.

In altri termini dovremmo porci queste domande: la fede viene considerata un valore di fondo della propria famiglia, del proprio paese? I genitori ritengono che sia un valore importante da trasmettere ai figli, o prevale l’idea di non influenzare i giovani con la propria visione della realtà? Siamo in una società dove i cambiamenti si susseguono rapidamente. Il credente, se li vuol comprendere e apprezzare, non può staccarsi dalle radici da cui è nato e cresciuto: il Vangelo.

E dunque vale più «andare a messa» o conoscere e riflettere insieme sulle parole di Gesù? 



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