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Una malattia curiale

dom 06 nov 2022 08:11 • Dalla redazione

I segni di una Chiesa incerta, che non sa rinnovarsi

VALLI DEL NOCE. Bisogna essere chiari: è difficile capire (per me impossibile) perché che un cardinale, per di più presidente della Conferenza Episcopale italiana, Matteo Zuppi, presieda i vespri di una associazione tradizionalista, che rifiuta il Concilio Vaticano II, qual è la Summorum Pontificum. Questa associazione prende il nome da un documento di Benedetto XVI che prevedeva la celebrazione della messa e dei sacramenti secondo il rito precedente il Vaticano II. Permetteva quindi l’uso della lingua latina. Qualcuno ricorderà ancora che il celebrante volgeva le spalle all’assemblea, le donne entravano in chiesa col capo velato ecc.

Può sembrare una scelta poco importante o una riflessione da lasciare agli addetti ai lavori, cioè teologi e liturgisti. Ma non credo sia così. Perché, secondo me, è il segnale che dice di una chiesa incerta, che cammina barcollando verso il futuro, che dà atto ad una tradizione immobile, che rende la chiesa stessa un museo. Il cardinal Martini propone una visione decisamente diversa da questo documento, ricordando che la riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II (il Novus Ordo di Paolo VI) rappresenta un netto miglioramento per la comprensione della liturgia e della Parola di Dio. Ribattendo agli abusi celebrativi, secondo lui "non così diffusi come preteso da alcuni", affermò che abusus non tollit usum (l'abuso non preclude l'uso). Procedere nell’incertezza potrebbe rendere possibile anche una rimessa in discussione del Concilio Vaticano II, il quale, per il cardinale, "aveva aperto porte e finestre ad una vita cristiana più lieta e umanamente più vivibile" rispetto all'«[.

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..] insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora lo si viveva, dove il fedele con fatica trovava quel respiro di libertà e di responsabilità da vivere in prima persona di cui parla san Paolo ad esempio in Galati 5,1-17».

Come vescovo constatava «l'importanza di una comunione anche nelle forme di preghiera liturgica che esprima in un solo linguaggio l'adesione di tutti al mistero altissimo». Insomma è importante non usare forme e modi di pregare troppo diversi. Oltretutto trascurare i cambiamenti che accadono nella società, la sensibilità che cambia ecc. rischia di ridurre la preghiera a una serie di formule magiche o quasi. Papa Francesco in un suo documento ha di fatto abolito questo modo di celebrare. Ma allora perché si continua, sia pure in pochi casi, a dimenticare che l’unica lex orandi (modo di pregare) anche per la celebrazione dei vespri, oltre che quello della messa è quella stabilita dai libri liturgici di Paolo VI e di Giovanni Paolo II e non dai libri precedenti?

Alla radice dell’equivoco comportamento sta una questione originaria che segna il documento Summorum Pontificum: «ossia il fatto di essere il frutto di una “malattia curiale”, che ha in Roma il suo centro. La nostalgia delle forme liturgiche preconciliari (ma anche della Chiesa e delle relazioni e dei linguaggi e delle dottrine e delle discipline e delle forme preconciliari) è una malattia non anzitutto della periferia, ma del centro romano della curia. Nella misura in cui diventi “uomo di curia” inizi a sentire le sirene di una “strana misericordia”, che riesce a convincerti di poter stare, per misericordia, con un piede nel concilio e con l’altro nel pre e nell’anti-concilio. E questa illusione può contagiare anche i migliori, nella misura in cui si lasciano ridurre a funzionari di una “misericordia” della confusione e della reazione» (Andrea Grillo). C’è un documento di Francesco sulla formazione liturgica del popolo di Dio (“Desiderio desideravi”) che lo dice bene: non è il “senso del mistero” ciò di cui abbiamo bisogno, ma è lo stupore per il mistero pasquale che alimenta la identità e la formazione alla fede celebrata. Questa non è una differenza da poco: io sono cristiano non perché prego con formule misteriose, perché penso di capire Dio non capendo neanche me stesso, ma perché mi stupisco dell’amore che mi è donato da un Dio morto e risorto per me. Nel percepire con nettezza questa differenza sta la possibilità di accettare o di rifiutare l’invito a presiedere un vespro che mette in campo un ordo rituale sul quale si proiettano simbolicamente tutte le resistenze al Vaticano II, quelle liturgiche come quelle ecclesiali, quelle disciplinari come quelle dottrinali. Se un uomo del valore di Matteo Zuppi cade in questa trappola simbolica mi sorprendo e mi chiedo: ma come si fa ad accettare la richiesta di un gruppo che si intitola e organizza pellegrinaggi con riferimenti espliciti ad un documento abrogato nel 2021? Come ha fatto un cardinale Presidente di una Conferenza Episcopale a non aver tenuto conto di questo pesante sequestro simbolico e ideologico?



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