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La fede inquieta di don Marcello

dom 26 lug 2020 09:07 • By: Renato Pellegrini

Il Concilio, il Sessantotto, un cammino di umanità e libertà

L’Aquila di San Venceslao, massima onorificenza del Comune di Trento per personalità che si sono distinte per meriti di cultura, solidarietà, umanità è stata consegnata quest’anno a don Marcello Farina, prete, filosofo e insegnante, giovedì 23 luglio.

Molti lo conoscono anche nelle valli del Noce, dove più volte è stato invitato per qualche conferenza o dibattito. Ottanta anni vissuti «seminando inquietudine», cioè invitando alla ricerca, a non arrendersi di fronte ai cambiamenti, a diventare cittadini del mondo. Forse per questo c’è stato chi lo ha accusato di non offrire punti di riferimento chiari alla comunità cristiana.

Ma con una lucidità disarmante don Marcello risponde che «la sicurezza non appartiene al Vangelo». È stato capace di interpretare e annunciare la Parola di Dio confrontandosi sempre con i le molteplici sensibilità del mondo. Sì, perché la Parola di Dio è Parola incarnata, non la puoi vivere se non sei prima di tutto uomo.

E, ama ripetere, che nessuno può essere davvero cristiano se non è prima uomo, immerso in quell’umanità che anche Dio ha voluto abitare in Gesù. Per qualcuno la fede dovrebbe essere prima di tutto certezza.

E invece «la fede non è mai certezza. E, paradossalmente, la verità non è mai certa…

La verità esige continuamente nuovi approfondimenti».

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Nella Chiesa trentina non ha avuto vita facile. Un prete che non nasconde la problematicità nemmeno quando parla della fede, non attira molte simpatie nemmeno dai confratelli. Anche oggi si vorrebbe che la religione distinguesse l’alto dal basso, Dio dall’uomo. Ma la fede adulta, la fede che sa affrontare il Vangelo senza sensi di inferiorità, «chiede prima di tutto di essere uomini».

Don Marcello, ha detto Vincenzo Passerini introducendone la figura, prima che gli fosse consegnato il premio dal sindaco Alessandro Andreatta, è stato ed è «un maestro di libertà», che ha dedicato al pensiero e alle persone la sua vita.

Il Concilio Vaticano II e il Sessantotto sono stati nel suo percorso due tappe fondamentali: il Concilio è stato «una rivoluzione spirituale, una svolta nella chiesa, un modo diverso di sentire la propria comunità». La chiesa prima del Concilio era considerata una societas perfecta (una società perfetta), simile alla Repubblica di Venezia o al Regno di Francia. Aveva i suoi capi, le sue leggi, i suoi sudditi. Naturalmente in capi comandavano e i sudditi obbedivano, io aggiungerei, troppo spesso senza pensare. Il mondo esterno era visto come pericolo o tentazione. E dunque andava respinto.

Tutto cambia con il Concilio Vaticano II e la Chiesa è presentata come «popolo di Dio», con i figli amati e accompagnati dalla tenerezza di Dio. Poi è venuto il Sessantotto.

Don Marcello ammette che questo periodo gli «ha fornito le motivazioni più urgenti per una seria riflessione culturale». Non c’è dubbio che anche oggi c’è bisogno di tanta riflessione per i cristiani; c’è bisogno come dice don Marcello, di riscoprire l’umanità di Gesù, capire che «Gesù di Nazareth non fa mai un discorso religioso, ma sempre un discorso umano, e così cambia il mondo». Non suggerisce mai Gesù di andare a costruire un tempio in cui adorare la divinità, ma piuttosto dice: va’ in pace, sii guarito!

È il modo giusto di concepire la religione e la fede. L’aver riconosciuto in don Marcello un uomo di profonda umanità, di fede seria, è stato e sarà uno stimolo per chi crede davvero che ancora la Chiesa deve cambiare, che non servono regole e regolette per celebrare belle liturgie, che occorre soprattutto riprendere in mano da parte di tutti i credenti il Vangelo, per conoscerlo e con quelle parole immergersi nella storia degli uomini e delle donne di questo tempo. 



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