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La difficoltà di continuare a credere

dom 18 dic 2022 09:12 • By: Renato Pellegrini

Delle motivazioni portate fino a non molto tempo fa per sostenere la propria fede, per darne una motivazione forte, nessuna resiste

Restare credenti è sempre stata una abilità non da poco, esposta a mille pericoli e difficoltà. Nel contesto odierno, però, potrebbe sembrare ancora più difficile, e questo per una serie di fattori che incidono sul vissuto sociale ed ecclesiale, anche se poi – in ultima istanza – tutti questi fattori potrebbero rivelarsi la nostra migliore risorsa.

Il primo elemento da considerare è il venir meno della pressione sociale che portava ad uniformarsi a stili di vita e a convinzioni che si potevano ricondurre alla fede cristiana. Era normale fino a qualche decennio fa andare a messa la domenica, sposarsi in chiesa, mangiare di magro il venerdì, mandare i figli al catechismo. Ai nostri giorni la situazione è completamente diversa, è rovesciata: il contesto sociale spinge verso posizioni lontane dalla fede o dall’appartenenza ecclesiale.

Per credere o per appartenere alla Chiesa occorre una presa di posizione personale, forte, motivata, capace di rendere ragione della propria fede anche là dove essa sembra una stranezza. Oggi non si crede per sentirsi amati, o per lenire le proprie ferite emotive. Oggi sappiamo bene che è necessario un cammino psicologico per curare le ferite psichiche.

Scoprirsi amati da Dio, per quanto fondamentale e liberante, non può essere considerato una specie di surrogato dell’amore non ricevuto da bambini o durante la crescita: l’amore di Dio ci incontra adulti e ci vuole adulti, per cui cercare Dio per ricevere il calore che ci è mancato rischia di rendere la nostra fede vacillante e non autentica.

Graziadei maggio

 

Nei decenni passati la fede era vista come consolazione per le vite più sofferte, per le ingiustizie, per i sacrifici. Nemmeno questo oggi funziona.

Per togliere di mezzo le ingiustizie si cerca un rimedio culturale, politico, sociale. Richiedere un sacrificio ad alcuni (più frequentemente ad alcune) non è più accettabile in vista di una consolazione spostata in un tempo altro. Oltre tutto si verrebbe accusati, e non senza motivo, di non combattere adeguatamente le iniquità del mondo. Moltissime persone non credenti (insieme ovviamente a molti credenti) lottano per un mondo più giusto, per la salvaguardia del creato, per la liberazione di coloro che sono oppressi, e non poche volte si scandalizzano di credenti che minimizzano le ingiustizie mondiali e la violenza sul creato.

Può resistere la fede nel Dio di Gesù, però, senza che la fame e la sete della giustizia impediscano di accontentarsi di spostare a chissà quando la consolazione per chi soffre? Aggiungerei a questo quadro che neanche la paura della morte è capace di stringerci alla fede: la morte è un dato di realtà e moltissimi trovano senso alla propria vita tenendo presente anche la morte. Il senso dell’esistenza infatti non è più ad esclusivo appannaggio della fede; molte sono le narrazioni che producono senso nella nostra epoca e ciascuna sa – anche quella che sorge dalla fede cristiana – che non può spiegare tutto o collocare ordinatamente ogni elemento in una sola teoria, perché la realtà si è rivelata complessa e sfugge drammaticamente a ogni riduzione.

In altre parole: delle motivazioni portate fino a non molto tempo fa per sostenere la propria fede, per darne una motivazione forte, nessuna resiste.  

Concludendo, ci possiamo chiedere; che cosa resta, dunque, che può farci continuare a credere?   

«Resta il Vangelo. Solo la fede che si fonda sulla bellezza del Vangelo, sull’impossibilità di resistere al suo fascino, può resistere alle tentazioni dette e alle molte altre che continuamente sorgono. Forse cinquant’anni fa si poteva restare sposati senza amore, senza intesa, senza una relazione vivificante onorando un sistema di valori, sotto precise pressioni sociali, dentro un orizzonte di significati ben diverso da quello odierno. Oggi si può rimanere sposati solo se la relazione che si vive è sperimentata come buona e vivificante, almeno un po’. Similmente, d’altra parte, la fede è questione di attrazione per una bellezza e di amore, non si può essere credenti per abitudine, per tradizione sociale, per interesse, per vantaggi psichici, materiali o culturali. Si può mantenere la fede, anzi la si accresce continuamente, solo lasciandosi affascinare sempre più dallo stile, dalle parole, dall’agire di Gesù, lasciando che tutto questo prenda carne nei nostri gesti, nel nostro impegno quotidiano, nei nostri sentimenti». (Simona Segoloni)



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