Skin ADV

Cafè De Orz: l’ultimo saluto di Alessandro ‘Bomba’ ed Erica

sab 11 mar 2023 18:03 • By: Giulia Colangeli

Salutano i loro clienti e ringraziano per gli splendidi anni passati dietro il bancone. Ora una nuova avventura a Molveno

Al Cafè de Orz con il mitico attore inglese David Bradley

MALÉ. Li conoscono tutti come Erica e ‘Bomba’, i due storici gestori del Cafè De Orz in Piazza Dante, a Malé, che hanno deciso di cedere il posto (e la piazza) alla nuova generazione. E sulla scia di entusiasmo e gratitudine ci rendono partecipi dei retroscena di un lavoro totalizzante.


Vorreste raccontare come ha avuto inizio quest’avventura?

Erica: Siamo partiti nel Duemila…

Alessandro: …e abbiamo iniziato quasi per scherzo. Io, per la verità, già collaboravo con i miei genitori al bar De Oliva. Poi ho avuto l’occasione di prendere in gestione il Cafè De Orz quando i due prima di noi se ne sono andati e cercavano sostituti. Erica lavorava ancora in Apt, io le ho detto quasi scherzando che avrei provato a prenderlo, andando avanti e indietro tra il De Orz e il bar dei miei… e per cinque anni è stato un andirivieni. Poi nel 2005 i miei hanno ceduto l’attività e io sono rimasto là. All’inizio avevo una cameriera a darmi una mano e la Erica veniva in aiuto quando non lavorava, poi col tempo si è licenziata ed è venuta al bar. E abbiamo cominciato l’avventura.

Deve essere stata una scelta tosta…

Alessandro: All’inizio è stato un bel salto. Dopotutto io in questo lavoro ci sono nato, con i miei genitori e tutto. Si può dire che sono nato dietro il bancone.

Erica: E io ci sono arrivata. Per lui è ed è sempre stata una passione, per me un lavoro. Mi sono adeguata.

 

Quante cose sono successe in questi ventitré anni?

Alessandro: Tante, tante belle esperienze. Abbiamo avuto parecchio da fare, soprattutto i primi anni è stata dura. Nel tempo ci siamo inseriti, abbiamo conosciuto tanta bella gente…

Erica: Anche qualche persona meno bella, che abbiamo mandato via. Per fortuna la maggioranza è sempre stata in positivo. Abbiamo una clientela affezionata sia tra i paesani che tra i turisti e questo ci ha sempre riempito il cuore.

Alessandro: Quando abbiamo cominciato abbiamo anche fatto qualche bella serata, organizzavamo concerti sia d’inverno che d’estate, con diversi gruppi. Poi ne abbiamo fatti sempre meno, per un motivo o per l’altro; principalmente per evitare conflitti continui con il vicinato. L’ultimo credo sia stato il concerto dei Bastard Sons of Dioniso. Per il resto tanti aperitivi, compleanni… nel tempo però ci hanno fatto passare un po’ la voglia. Che poi mica facevamo tutto questo casino, noi chiamavamo gruppi per della bella musica, semplicemente c’era gente che si divertiva, rideva, chiacchierava in piazza e quindi si rischiava sempre di dar fastidio la notte.

Erica: Dopotutto in centro è difficile gestire un evento senza disturbare nessuno. Nel tempo abbiamo deciso di non farli più perché lavorare così era difficoltoso, sia per le relazioni con i vicini che per il grande stress che comportava organizzare tutto e gestire tutto da soli. E poi avere il bar non è un lavoro come gli altri. Diventa tutta la tua vita. Gli amici sono clienti, i clienti diventano amici, non è mai solo lavoro. Quindi cerchi anche, se hai delle problematiche come quelle dei concerti, di mantenere i rapporti piuttosto che ritrovarti il giorno dopo con qualcuno che non ti rivolge la parola. Abbiamo preferito adeguarci alle esigenze delle persone intorno a noi.

 

In tutti questi anni avete visto tante persone. Com’è cambiata la clientela?

Alessandro: Sicuramente il grande cambiamento c’è stato prima e post-Covid. Là veramente è stato un disastro.

Erica: Son cambiati tutti. Chi non parlava mai e non ci salutava, ha iniziato a parlare. Gente con cui abbiamo bevuto il caffè fino al giorno prima, mai più visti.

Alessandro: Il lavoro del barista è strano, come ci metti una vita a guadagnarti un cliente, coccolarlo, in zero secondi lo perdi e per mesi ti chiedi perché. Che gli avrò fatto? Cosa avrò detto? Ma alla fine diventa la normalità, ognuno sceglie liberamente che fare e non dipende da te. Ci siamo stancati dopo tanti anni nello stesso posto, con le stesse persone, nella stessa piazza, non perché ci fosse qualcosa di negativo. Siamo molto grati, ma è tempo di cambiare.

Erica: C’è l’esigenza naturale di cambiare un po’. Lui è cresciuto nelle piazze, ormai conosce le mattonelle a memoria.

 

Come mai il cambiamento è arrivato, per voi, adesso? Proprio quest’anno.

Erica: Ne parlavamo già da tempo, dal 2020. In parte per questioni familiari che ci hanno fatto riflettere sulle nostre esigenze personali, quelle della nostra famiglia, del lavoro in sè. E, appunto, dal 2020 ci chiedevamo se andare avanti o meno e come. Poi il Covid è stata la molla che ci ha spinti a cambiare.

Alessandro: Sono scelte difficili perché quando lasci un’attività che funziona, che va bene, è pesante. Se la lasci quando non va bene ti dici okay, ci sta. Ma se l’hai creata tu, ci hai trascorso ventitré anni della tua vita e ci hai messo le tue ore, i tuoi sacrifici, le tue idee… è una scelta che quando firmi si fa difficile. Nell’ultimo periodo facevamo avanti e indietro da Molveno per questioni familiari, senza alcuna intenzione di rimetterci subito al lavoro.

Graziadei maggio

Poi però… dai, raccontagliela tu la storia.

Erica: Nel 2020 ci sono stati cambiamenti grandi, il Covid ci ha portato via un pezzo importante della famiglia e adesso il bisogno di restar vicini a chi è da solo si è fatto più forte. Quindi ci siamo detti, semplicemente: finché abbiamo tempo, organizziamoci tutto con calma. E stiamo vicini alla famiglia.

 

Per tornare a parlare del lavoro, com’era la vostra giornata tipo?

Erica: Meglio che non lo scrivi, altrimenti nessuno vorrà fare questo lavoro! (nda: ridono).

Alessandro: Mi alzavo alle 6, andavo su, accendevo il fuoco, mettevo dentro le brioches, arrivavano i primi clienti, pian piano accendevo le luci, a un quarto alle sette ero già attivo, arrivava la cameriera, poi gestivo tutta la burocrazia, gli ordini e via dicendo…

Erica: Lui sa come tutte le persone del centro prendono il caffè.

Alessandro: Ah, quando tu non chiedi più ai clienti cosa beve, come lo vuole, in quanto tempo lo vuole, con che banconota lo paga e gli dai già il resto prima che estragga il portafoglio, lì ti fai delle domande. Vedi generazioni che si succedono, hai conosciuto madri e figlie, padri e figli, nipoti… e quando c’erano i giorni di mercato i vigili chiedevano informazioni a me.

Verso metà mattina preparavo la linea per aperitivi e pranzi, Erica veniva a darmi il cambio dopo mezzogiorno e via così, ecco la routine.

Erica: Gli davo il cambio nel pomeriggio, così ci tenevamo una mezza mattina o un mezzo pomeriggio liberi a testa. Ci vedevamo a pranzo, a volte insieme, a volte un po’ di corsa.

Alessandro: Poi tornavo su verso le cinque, si faceva la serata, ancora aperitivi, cene, chiusura, pulizie… finivamo intorno a mezzanotte.

 

Una bella impresa per una coppia: siete stati inossidabili.

Erica: Lo dico sempre, per noi è stato un successo, dopo ventitré anni di bar, essere ancora insieme. Lavorare insieme, vivere insieme, non è facile.

Alessandro: Son ventisei anni che stiamo insieme. Vedendoci quasi solo sul lavoro. Poi, certo, qualche bel giro lo abbiamo fatto, qualche bel viaggio… abbiamo avuto svariati lutti, poi il Covid, e negli ultimi tempi tutto era più difficile.

Erica: Sì, stiamo facendo un bel reset. E molte vicissitudini familiari ci hanno fatto riflettere. Tra tutte: chiudere il bar in età avanzata, quando sei anziano e non ce la fai più, deve essere brutto. Ti si svuota il bar, diventa decadente… dunque questo volevo io, chiudere mentre il bar funziona ancora. Per me è stato ed è ancora un saluto. Poi la gente che non sa, si angoscia senza motivo…

Alessandro: Sì è vero, ci hanno chiesto in molti: “ma cosa fate? Chiudete? State male? Ve ne andate?”. Nell’ultimo periodo è stata dura, lei mi aveva detto che avrebbe voluto staccare dall’attività (e quando Erica decide una cosa non c’è verso di smuoverla) e io, ben consapevole che per sostituire lei avrei avuto bisogno di due persone, avrei dovuto vivere una vita assurda, da solo, lavorando per pagare i dipendenti e poi… senza mai vederci? Ma no, abbiamo deciso di chiudere entrambi. Prendiamo tempo, valutiamo.

Erica: La scelta iniziale è stata mia, lui ha seguito. Ma adesso è più entusiasta di me, visto che ci si è presentata un’altra occasione a Molveno per ricominciare daccapo. Non siamo abituati a non lavorare, già mi sono stufata di non lavorare.

Alessandro: Io mi sogno la notte di riempire i cestini della lavastoviglie, e poi i piatti spariscono. E ormai mi sveglio senza sveglia, automaticamente, alle sei. La nostra vita è sempre stata questa.

Erica: Poi certo, dal punto di vista della burocrazia non lo rifarei. Troppo stress, troppe pratiche, ti rovina la giornata, non sei mai a posto.

Alessandro: Tu calcola che la domenica, giorno di chiusura, stavamo qua a gestire tutte le carte. Non riuscivamo a fare una passeggiata, una sciata. C’è chi se ne frega, porta tutto al commercialista e non ci pensa più, noi siamo sempre stati molto precisi. A me danno fastidio le orecchie sulle pagine. Voglio che sia tutto a posto altrimenti non dormo, sto male. Gestire tutto, però, provoca stress e richiede tempo. Se te ne vai a sciare e pensi all’attività non riesci a goderti niente, meglio avere tutto in ordine e non ci si pensa più. Ma questa è l’ultima volta.

 

Adesso, cosa vi si prospetta davanti?

Erica: Il lavoro che andiamo a fare adesso è stagionale, sarà diverso, tireremo il fiato a fine stagione. Poi certo, non sarà uno scherzo nemmeno lì, però rispetto a lavorare 365 giorni l’anno…

Alessandro: Avremo un obiettivo, perché quando vedi il traguardo a fine stagione e pensi di organizzare una vacanza, un bel viaggio, è un’altra cosa. Poi a Malè lavoravamo ovviamente con la gente del posto, per un buon 80%; invece, con il lavoro stagionale tratteremo principalmente con i turisti, da Pasqua a ottobre.

Alessandro ed Erica

Lavoreremo anche con i paesani ma è un’altra cosa. Dopo ventitré anni sappiamo ben come attrezzarci e come gestire tutto, se anche la tipologia di lavoro cambia noi siamo sul pezzo.

Erica: Ventitré anni sono volati, passati in un blitz. Ma siamo molto grati. Il Covid ha cambiato tutto, è stata dura restare in piedi e pagare tutto, senza mai rimanere indietro, mentre altri hanno fatto molta più fatica o hanno chiuso per disperazione. Noi abbiamo potuto scegliere, chiudere è stata una nostra scelta consapevole e ci riteniamo grati.

 

E i vostri clienti cosa ne pensano? Non vi avranno risparmiato la loro opinione…

Alessandro: Erano tutti preoccupati, chiedevano e chiedono ancora: “E adesso cosa farete? Ma state chiudendo perché state male? E che ne fate della casa?”. Ma cosa dovremmo farne? L’abbiamo appena costruita, ci stiamo tanto bene. Sembra che tutti pretendano di sapere tutto di te, della tua famiglia, la tua vita privata, ma è stancante. E così a ognuno ho pensato di dare una versione diversa. A chi ho detto che vorrei autoprodurre il gelato (che effettivamente è un mondo che vorrei approfondire), a chi ho risposto che avrei preso un anno sabbatico, carteggiato poggioli e finestre, a chi ho detto che vorrei occuparmi di una torrefazione del caffè, a qualcuno che non ho più voglia di lavorare… ma non per cattiveria, per riderci un po’ su.

Erica: E non è che sta mentendo, ci costruisce semplicemente una fiaba su. Nessuno sa veramente cosa stiamo andando a fare. Altrimenti le persone ci costruiscono su chissà quali storie… secondo qualcuno avevamo messo in vendita la casa perché ci avevano visti accanto all’agenzia immobiliare. Noi amiamo Malè, ci stiamo tanto bene.

 

Per saltare di palo in frasca: perché il soprannome ‘Bomba’?

Alessandro: Si dice ‘scotùm’, è un soprannome di famiglia. Ma non è un termine maletano, è del dialetto di Caldes. Tutti i miei avi si chiamavano ‘Bomba’: mio nonno, mio padre… è un modo per descrivere un carattere un po’, come dire, esplosivo.

 

Cosa vorreste lasciare alle persone che vi sono state vicino durante questi anni?

Erica: Io una cosa la volevo dire: che ringraziamo tutti. La comunità ci ha sempre sostenuto, noi abbiamo aperto in un luogo che non aveva forti premesse e abbiamo sempre lavorato. Senza l’appoggio delle persone del posto non avremmo mai potuto far nulla ed è grazie a loro se siamo rimasti per ventitré anni.

Alessandro: Anche con i gestori degli altri bar abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto. E sono quelle cose che i turisti non capiscono, quando ti vedono a bere qualcosa in un altro bar sembra che tu stia facendo chissà che. Allora gli spiego che siamo una piccola comunità, che ci sosteniamo a vicenda, ci vogliamo bene e se possiamo anche collaborare ben venga. Per la gente di via non è facile capirlo.
Così come nel lavoro in generale ci sono così tante sfaccettature… noi, penso, siamo stati uno degli ultimi bar dove c’era comunicazione, rapporto diretto con tutti. Chiedevo a tutti come stessero le loro famiglie, i figli, le bestie se avevano stalla e vacche, la vita, così come poi si poteva parlare di vini e cibo. Facevo un po’ lo psicologo di chi aveva bisogno di far due chiacchiere. Il bar per noi è sempre stato una famiglia, una casa, e tutti i clienti erano ospiti. Abbiamo sempre messo tutti noi stessi nel lavoro, con pregi e difetti, e tanta passione.

Erica: Ci tengo a dire che per noi sono sempre stati tutti uguali. Non è mai stata importante l’età, mai il portafoglio, ogni tanto siamo stati fregati da qualcuno ma non importa. C’è chi si scrive i debiti e ci si dispera su, noi abbiamo preferito metterci sempre una pietra sopra.

 

Che aspettative avete, considerati tutti gli insegnamenti dei ventitré anni passati?

Erica: Io vivo sempre nel presente. Non ho grandi aspettative per il futuro, cerco di organizzarmi ma non sono un’entusiasta del futuro senza concretezza. La mia aspettativa era di non chiudere in tristezza e sono stata felice così.

Alessandro: Io l’ho vissuta diversamente, sarebbe stato bello organizzare una chiusura con tutti gli amici, non il 31 dicembre com’è stato… erano giorni di festa e non si riusciva a far nulla. Poi non ero felicissimo di chiudere, l’entusiasmo della nuova avventura è venuto dopo.

Erica: Avevamo in mente di prenderci l’anno sabbatico… ma da un lato ci hanno consigliato di non ossigenarci troppo alla nostra età (nda: Ridono) e che gli anni sabbatici portano male, dall’altro si è presentata questa occasione e non riusciamo a star fermi senza lavorare.

Alessandro: Ci siamo chiesti per chi lo facciamo. Lo facciamo per noi, per la nostra famiglia, per gli altri. I gestori del passato si fidavano di noi e noi abbiamo deciso di aprire questa nuova attività, cambiare, provare qualcosa di nuovo.
Sono stato troppo nelle piazze, il lavoro mi manca ma l’ambiente è giusto cambiarlo e provare qualcosa di diverso.

Erica: Fondamentalmente siamo dei romantici. Anche quest’intervista: è stato un piacere e ci siamo raccontati volentieri, volevamo tanto ringraziare tutti e salutare tutti, lasciare un buon ricordo di tanti anni insieme.


La festa per i 50 anni

Riproduzione riservata ©

indietro