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Confessione addio?

dom 12 mar 2023 10:03 • By: Renato Pellegrini

Disaffezione verso un sacramento che deve sapersi rinnovare

VALLI DEL NOCE. Il tempo di quaresima è per i cristiani un tempo che invita alla riconciliazione, che si conclude, o forse sarebbe meglio dire, che si concludeva con la confessione nell’imminenza della Pasqua. Ai nostri giorni è chiara da disaffezione di molti credenti nei confronti di questo sacramento. È sotto gli occhi di tutti un graduale allontanamento dei fedeli dalle forme tradizionali che celebravano il perdono. Anche negli stessi ambienti ecclesiali si ricorrono inquietanti interrogativi: la prassi penitenziale privata vigente non ha fallito di fronte ai gravi problemi morali odierni? Non è ormai chiaro che essa non ha presa e mordente nella vita sociale (mafia, violenza, violazione dei diritti della persona…) politica e culturale? C’è anche un altro problema il perdono chiesto e ricevuto è ancora accolto come grazia, come forza per cambiare vita?   

Il perdono e la predicazione del perdono nella chiesa ha sempre avuto un’importanza fondamentale, a partire dall’insegnamento di Gesù di Nazareth che, come scrive Paolo Ricca, teologo protestante, ha compiuto un’opera di grandissimo valore, portando il perdono di Dio in terra (Ego te absolvo, ed. Claudiana). Lo ha fatto durante il suo ministero terreno, dall’inizio alla fine. E quello che è davvero importante è che Gesù ha collegato il perdono di Dio a quello dell’uomo. Quando si recita il Padre nostro, si prega: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Questi due perdoni sono indissolubilmente legati tra loro. Il perdono divino, sempre gratuito, è forza che cambia i cuori e i comportamenti, cambia la persona, per cui il perdono dei peccati non solo «apre la porta del cielo» come ripeteva Lutero, ma anche la porta di accesso a un nuovo modo di vivere tra uomini.

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E allora perché c’è disaffezione verso il sacramento del perdono? Anche tra i fedeli riuniti in piazza San Pietro per l’Angelus del papa si notano le stesse perplessità di tutti (Aldo Maria Valli: C’era una volta la confessione; ed. Ancora). L’allontanamento sempre più evidente dalla confessione ha sicuramente cause diverse e complesse. In passato i penitenti potevano imbattersi in qualche prete che più di misericordia dimostrava asprezza nei giudizi ed era pronto a proibire di accostarsi alla comunione. Oggi si vive come un’assurdità il dover raccontare a un sacerdote qualcosa che è personale, che fa parte del vissuto di ognuno e dunque di qualcosa di intimo. Un numero crescente di persone sente di non poter condividere il fatto di dover necessariamente aprire il proprio cuore, magari a uno sconosciuto, per sentirsi perdonato. E non vale certo sottolineare che non è il prete che perdona, ma attraverso di lui è Dio stesso.

È stato normale anni fa. Non lo è più oggi. Nella cultura odierna l’intimità delle persone è un aspetto della loro dignità umana, che può venire condivisa con qualcuno solo in piena libertà. La gente sceglie di andare dallo psicologo al quale racconta tutto si obietterà, ma lo fa volontariamente, senza alcun obbligo. La libertà è uno dei nomi del cristianesimo (Gal 5,1). Anche tenendo conto di tutti questi aspetti critici, credo che una comunità cristiana non possa privarsi del sacramento della riconciliazione. È bene che si sperimentino forme diverse, dove sono rispettati valore sacramentale e sensibilità delle persone. Dio trova sempre strade nuove di perdono, al di là del codice di diritto canonico. Ogni sacramento è una realtà viva soggetta a cambiamenti. Anche il sacramento della confessione potrà e anzi dovrà cambiare, avrà un nuovo futuro che non possiamo prevedere totalmente, ma che potrà essere in misura più o meno grande distinto dal passato e dal presente. Un futuro forse così irriconoscibile come ci è attualmente irriconoscibile il suo passato. A me pare che la Chiesa debba porre grande attenzione a ciò che allontana molti oggi da questo sacramento, come l’obbligo di confessare sempre tutti i peccati gravi a un sacerdote. Molte persone oggi si aspettano dalla loro Chiesa strumenti che li aiutino a sviluppare un cristianesimo vivo. Non sono disposti a far passare necessariamente la loro fede in Cristo attraverso un “uomo sacro”, che si chiami prete o vescovo. «La “sacerdotalizzazione” della Chiesa, in molti aspetti, è arrivata alla fine. Il sacramento della riconciliazione non corrisponde ai canoni dell’umanità del tempo» (Jorge Costadoat S.J). Ci sarà chi nella confessione individuale trova pace e serenità, ma ci sarà anche chi la sente come un tormento. Imporre a tutti questo obbligo, se Dio stesso non lo esige, mi sembra una cosa grave, da evitare. Quello che importa è annunciare a tutti che Dio ama e perdona, è far vedere che molte sono le strade del perdono di Dio e nessuna deve rimanere chiusa per colui che cerca la pace e la riconciliazione. La grazia e la misericordia di Dio sono offerte a tutti coloro che cercano con sincerità e nessuno deve sentirsi escluso dall’amore di Dio.

 



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