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Quaresima: tempo di elemosina e digiuno?

dom 19 mar 2023 09:03 • By: Renato Pellegrini

Una riflessione sul periodo pasquale

Gesù è venuto a inaugurare un nuovo modo di relazionarsi con Dio, che non può essere considerato come un sovrano a cui l’uomo è sottomesso, ma piuttosto come un Padre che si prende a cuore la sorte dei suoi figli.

L’invito è a superare tutte quelle pratiche di pietà che tengono conto solo della fragilità umana e non anche della grandezza di essere amati da Dio. Nella religione erano tre i pilastri della spiritualità: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Gesù avverte i suoi di non cadere nella tentazione, sempre presente nelle persone religiose, di chi, sentendosi migliore, vuol dare l’esempio e guadagnare stima e prestigio davanti agli uomini (Mt 6,1-6; 16-17). Dei tre comportamenti religiosi il più delicato è sicuramente l’elemosina, che coinvolge i deboli e i bisognosi. Chi ha partecipato al rito dell’imposizione delle ceneri, il primo giorno di quaresima, ha potuto sentire le parole di Gesù, che non vuole che la povertà altrui venga strumentalizzata per far conoscere alla gente quanto si è buoni e generosi. La pubblicità nel fare l’elemosina glorifica chi la fa, ma rischia di diventare una vera umiliazione per chi la riceve. La via che i cristiani hanno percorso fin dagli inizi è la condivisione dei beni, come spiegano gli Atti degli apostoli (2,44).

L’elemosina presuppone sempre una disuguaglianza, che non potrà venir superata con il dare qualcosa a chi ne è privo; la condivisione invece crea dei fratelli. Gesù sa che questa è una meta verso cui camminare e ammonisce i discepoli a non ostentare il loro fare l’elemosina, a non diventare commedianti pur di essere lodati. Ad agire così sono gli ipocriti, cioè i teatranti.

«Tutta la loro sbandierata devozione, infatti, non è altro che una commedia finalizzata a ottenere il plauso della gente a cui è rivolta. Gesù denuncia che costoro, pur ostentando zelo religioso e pia devozione, non solo non rendono culto a Dio, ma in una incessante celebrazione idolatrica del proprio io si sostituiscono al Signore, dirottando su di essi quella gloria che dalle opere buone deve dirigersi solo al “Padre che è nei cieli” (Mt 5,16).

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» (Alberto Maggi) Come per l’esibizione dell’elemosina Gesù ridicolizza anche coloro che vogliono che le loro pratiche religiose vengano conosciute non solo nelle sinagoghe, ma perfino negli angoli delle piazze «per essere visti dalla gente» (Mt 6,5). Come insegna un detto rabbinico, ambienti e luoghi religiosi alimentano l’ipocrisia: «Al mondo ci sono dieci porzioni di ipocrisia: nove si trovano a Gerusalemme”. (Esther Rabba I, 3-85b) E lo spazio sacro viene visto dalle persone pie come un teatro nel quale esibire la propria devozione. Quelle lunghe preghiere che appaiono come alto esempio di devozione, vengono equiparate da Gesù al blaterare dei pagani. D’altra parte Gesù ha insegnato che il Padre sa di quali cose abbiamo bisogno ancora prima che gliele chiediamo. Quindi non c’è bisogno di chiedere. Già Isaia lo aveva fatto intendere: «prima che mi invochino io risponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati» (Is 65,24). Chi ha questa grande fiducia nel Padre non chiede, ma la sua preghiera sfocia nel ringraziamento e nella lode per la sua azione che dona vita. La terza importante pratica di pietà che Gesù corregge è quella del digiuno, una prassi che nasce dal mondo greco come frutto della superstizione. «Si credeva infatti che in caso di lutto i dèmoni che avevano causato la morte potevano avere un influsso negativo sui parenti del defunto mentre essi mangiavano: «Intanto che l’anima dei morti è ancora vicina, nel mangiare e nel bere si deve temere una infezione demoniaca” (Plutarco, Is. et Os. 26, II 361a)».

Nell’A.T. non si credeva che i morti possano avere sui viventi un qualche influsso, o lo si crede in modo molto limitato. Il digiuno non è considerato una pratica ascetica, ma una manifestazione visibile di lutto e di dolore (1 Sam 3,13; 2 Sam 1,12). Viene comandato un solo giorno all’anno, quello dell’espiazione dei peccati di tutto il popolo, e la rinuncia al cibo è limitata dall’alba al tramonto (Lv 16,29ss; Nm 29,7). Al tempo di Gesù il digiuno volontario, settimanale e mensile, ebbe un forte incremento e quello devozionale veniva praticato due giorni alla settimana in ricordo della salita (giovedì) e della discesa (lunedì) di Mosè dal Sinai. Anche qui Gesù raccomanda di non usare questa pratica come segno di acesi per essere lodati dagli altri. I discepoli poi saranno rimproverati perché avevano abbandonato il digiuno (Mt 9,11).

Ma certe convinzioni non si lasciano sconfiggere facilmente. E questa usanza, cacciata dalla porta, rientrò dalla finestra: nel vangelo di Marco un copista, probabilmente un monaco, all’invito di Gesù “Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera” (Mc 9,29) aggiunse “e con il digiuno”.

Questa interpolazione rimase per ben millecinquecento anni nei vangeli, favorendo il successo della pratica del digiuno in quanto si riteneva fosse stata richiesta dallo stesso Signore. L’insegnamento di Gesù sarà ben compreso da Paolo, che nella sua Lettera ai Colossesi invita questi ultimi a non lasciarsi “imporre precetti quali: Non prendere, non gustare, non toccare… tutte cose destinate a scomparire con l’uso, prescrizioni e insegnamenti di uomini, che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne” (Col 2,20-23).



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