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Aiutare Dio

dom 08 ott 2023 09:10 • By: Renato Pellegrini

Aiutare Cristo, aiutare Dio vuol dire prima di tutto non odiare, perché l’odio non fa conoscere e capire la complessità del mondo

Ho riletto qualche tempo fa «Cristo si è fermato a Eboli». È un romanzo autobiografico che Primo Levi scrisse tra il dicembre 1943 e il luglio 1944.

Racconta del suo confino a Gagliano perché sospettato di attività antifascista. Là incontra un’altra civiltà, un popolo abbandonato e che conduce una vita grama. Ci sono nel paese due «medicaciucci», un parroco che è lì per punizione in quanto sospettato di pedofilia, rassegnato al disprezzo dei paesani…

Cristo "si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l'anima individuale, né le speranze, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia. Le stagioni scorrono sulla fatica contadina, oggi come tremila anni prima di Cristo".

Gagliano, L. dipinge e assiste i malati, mentre i "galantuomini" gli tessono intorno intrighi meschini. È di fronte a questa condizione tanto degradata, che mi sono detto: qui bisognerebbe qualcuno in grado di aiutare Cristo, il Figlio di Dio, a far rinascere una nuova e dignitosa umanità. E probabilmente questo aiuto non è impossibile e non è una bestemmia.

Etty Hillesum, morta tra gli orrori del campo di concentramento di Auschwitz, scrisse: «Cercherò di aiutarTi affinché Tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla.

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Una cosa però diventa sempre più evidente per me, e cioè che Tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare Te e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio». (Diario 1941 – 1942, Ed. Adelphi, pag. 713) Può dunque succedere che Dio non possa aiutarci. Per Etty, tocca allora a noi aiutarlo, «perché non si può essere fra le grinfie di nessuno, se si è fra le tue braccia».

Aiutare Cristo, aiutare Dio vuol dire prima di tutto non odiare, perché l’odio non fa conoscere e capire la complessità del mondo. L’odio e forse ancor più l’indifferenza rendono le donne e gli uomini che non la pensano come te dannosi ed inutili. Cristo si è fermato ad Eboli, perché più in là c’erano macerie di umanità e non c’era interesse per solidarietà, accoglienza, capacità di futuro. Troppa gente non c’era per nessuno.

E nessuno teneva in mano un bicchier d’acqua fresca da dare a chi aveva sete. Prima di aiutare Dio c’è bisogno di capire che «Dio è debole ed inerme nel mondo», che «Dio accetta di essere assente dal mondo, ma presente sulla croce» (D. Bonhoefer). E per questo occorre accoglierlo dentro di noi. La preghiera non è un inutile perdita di tempo, è, secondo le parole di Hillesum, l’unico modo per esserci vicini, per aiutarci.

È questa la strada per aiutare Dio: accettare la croce, la fatica e persino il disprezzo perché l’altro possa vivere. Se non si cerca di arrivare a questo traguardo, si rischia di fare di Dio un idolo, di farlo diventare il «mio» Dio, che garantisce la mia posizione e il mio potere.

Argomenta Giuseppe Savagnone, palermitano, filosofo e insegnante di Dottrina sociale della Chiesa, che c’è un modo sbagliato di parlare di Dio, di volerlo in qualche modo mettere al riparo dalla cattiveria degli uomini, di “difenderlo”, se «manca la visione di un genere umano… accomunata da un legame che ne unisce i membri, di qualunque stirpe, di qualunque nazione o continente». (in Vita pastorale n. 9 2023) E il Vangelo ci viene in aiuto. Quando hanno chiesto a Gesù qual è il comandamento più grande, la sua risposta ha unito in modo indissolubile l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. Poi, se vogliamo essere concreti e attenti all’attualità, indica il prossimo nello straniero. San Paolo, nel discorso all’Aeropago di Atene (Atti, cap. 17) non ha dubbi: «Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene… creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra». (Atti 17, 24-26) Necessario è allora e in ogni momento tentare di riflettere sulla «vita di quel mare, (che) era come la sorte infinita degli uomini eternamente ferme in onde uguali, mosse in un tempo senza mutamento. E pensai con affettuosa angoscia a quel tempo immobile e a quella nera civiltà che avevo abbandonato… e quel misterioso futuro di esili, di guerre e di morti allora mi appariva appena, come una nuvola incerta nel cielo sterminato».

Così termina il romanzo di Primo Levi. Ma da quel pensiero può, deve riprendere l’immagine di un Dio che ha fatto tutte le nazioni. Per poterlo aiutare davvero. 



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