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La tradizione si può inventare?

lun 16 ott 2023 09:10 • By: Elena Gabardi

La risposta al Val di Non Big Bang

Da sinistra Fabio Sacco, Francesca Merz, Luca Paternoster, Alberto Grandi e Luca Zaglio

CLES. «Non esiste tradizione che non sia inventata» apre con una frase che potrebbe già essere la chiusura della serata il professor Alberto Grandi, docente di storia economica e storia dell’alimentazione all’Università di Parma, salito alle cronache con il best seller “Denominazione di origine inventata” in cui demolisce i grandi miti fondanti della nostra tradizione enogastronomica.

Il dibattito sottotitolato “Turismo, cibo e territorio nella dialettica tra autenticità e finzione”, è stato organizzato da Non Accademy ed ha messo a confronto su questi temi il direttore dell’APT Val di Sole Fabio Sacco e il direttore di Melinda Luca Zaglio. Ad aprire l’introduzione del responsabile di territorio dell’APT Val di Non Francesco Facinelli, a moderare la serata la giornalista Francesca Merz.

Il professore ha provocato e divertito il numeroso pubblico, mostrando come nella storia la tradizione sia una costruzione culturale, che cambia nel tempo. Chi ha inventato il kilt? Perché alla destra del fiume Po si produce un famoso formaggio e alla sinistra no? Quanti sanno che il Marsala è nato in Liguria?

Storicamente la tradizione è “consegna” (Cicerone), “insegnamento” (Quintiliano), “narrazione” (Tacito). Proprio qui si capisce che la tradizione passa attraverso un racconto, che quindi può discostarsi anche molto dalla realtà. Come disse Oscar Wilde “la tradizione è un’innovazione ben riuscita”: la tradizione diventa tale quando ha successo, cioè quando risveglia l’interesse del pubblico e dei consumatori. E l’elemento di cui non può fare a meno è la narrazione.

La tradizione può avere una connotazione di natura ideologica allo stesso tempo negativa e positiva: come peso di cui liberarsi a favore del progresso e come patrimonio da conservare gelosamente a difesa della propria identità.

Lo storico economico ha sapientemente delineato come il meccanismo dell’invenzione della tradizione si attui quando ci siano elementi di cambiamento profondi nella struttura socio-economica di un territorio, allo scopo di ricostruire un’identità in cui ritrovarsi e rinsaldarsi come comunità (“L’invenzione della tradizione” - Eric Hobsbawm e Terence Ranger, 1983). Tutto questo è strettamente legato all’evoluzione socio-economica degli ultimi 50 anni e alla rappresentazione che ce ne diamo.

Quel “si stava meglio prima”, che il marketing moderno del consumismo di massa ha declinato in molte pubblicità, perché il passato rassicura. È un marketing della storia, che la ridisegna per i propri scopi facendo leva sui ricordi, che di rimando fanno leva sul rimpianto dell’età giovanile.

A questo punto la domanda centrale è che ruolo abbia un prodotto nella costruzione della tradizione e nella costruzione dell’identità di un territorio: è il territorio che fa il prodotto o è il prodotto che fa il territorio?

I casi di successo sono pochi, non è facile fare in modo che un prodotto abbia un effetto traino sul territorio in senso complessivo, sono pochi ma esistono. La Val di Non, cosiddetta “valle delle mele” è uno di questi.

L’intervento del direttore di Melinda Luca Zaglio ha sottolineato come l’identità sia in questo caso un fattore determinante: «Sono le persone con le loro caratteristiche e sfumature a caratterizzare l’identità del consorzio Melinda, che ha una propria riconoscibilità e proiezione esterna. Tema di grande attualità su cui è possibile lavorare ancora molto».

Secondo il direttore di APT Val di Sole sono molte le assonanze e i punti di contatto anche con il prodotto turistico: «Anche nel turismo “è il prodotto che fa il territorio” e non viceversa. È già da qualche anno che abbiamo cominciato a fare nostro questo concetto. Quando fino a non molto tempo fa sembrava che per attrarre flussi turistici bastasse dire ‘venite in Val di Sole e Val di Non’».

Strategica per tutti i comparti è emersa la necessità di continuare a evolvere ed innovare, per non cadere nella trappola di una tipicità autoreferenziale e uguale a se stessa: innovazione nel cogliere nuove suggestioni dalla sperimentazione degli altri territori e dallo sguardo dell’ospite, al pari dell’innovazione che si può fare nella monocoltura della mela in riferimento alla percezione locale ed esterna dei mercati e sul significato da dare all’identità di un prodotto rispetto alla sua tradizione e al suo territorio.

«Dire “noi facciamo il Parmigiano come mille anni fa” sarebbe già un buon motivo per non comprarlo – ha spiegato il professor Grandi. - Diverso è dire facciamo il Parmigiano da mille anni, che dimostra la capacità di stare sul mercato evolvendo il prodotto e le tecnologie di produzione. Questo è un modello di successo».

Nella sua disamina l’economista ha evidenziato che la tipologia di compagine sociale del territorio della Val di Non è percepibile e raccontabile: l’immagine dell’identità nata sullo stimolo cooperativistico, che si proietta verso l’esterno, è diventata un fattore distintivo ed un valore.

In prospettiva futura ha sottolineato che decisivo nei mercati per i prossimi anni sarà il tema della sostenibilità, anche nel rapporto tra turismo, agricoltura e gli altri settori.

Un’evoluzione che vedrà sempre più contaminazioni tra i settori, come già si sta facendo tra turismo ed agroalimentare, e in cui la responsabilità sociale nei confronti del proprio territorio sarà un valore quota parte del prodotto stesso, hanno sottolineato Sacco e Zaglia. Un prodotto espressione dei valori e della qualità di vita di un territorio.

In chiusura i ringraziamenti di Luca Paternoster referente di Non Academy, il laboratorio di ricerca dell’APT Val di Non, che ha ideato questa interessante serata.

Serata che invero ha lasciato un interrogativo aperto: perché in un confronto su turismo, cibo e territorio, che si svolge a Cles, manca una voce per APT Val di Non? 



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