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Parrocchie verso l'unificazione?

dom 03 dic 2023 08:12 • By: Renato Pellegrini

È dunque urgente e necessario chiedersi quale direzione prendere, verso dove camminare

Sono almeno tre anni, forse quattro, che nella nostra diocesi si parla di unificazione delle parrocchie e almeno quaranta che si assiste alla diminuzione del clero, ma senza riuscire a fare un progetto per i tempi futuri. Quando studiavo teologia i preti erano ancora numerosi con un’età media non elevata. C’era la possibilità di avvicendare un buon numero di parroci. Col passare degli anni si è fatta sentire la mancanza di vocazioni e l’invecchiare dei sacerdoti è diventato un problema preoccupante. Chi aveva una sola parrocchia, magari anche non troppo estesa, ha dovuto occuparsi di molte altre. Oggi qualcuno ne ha più di quindici. E le vocazioni scarseggiano sempre.

È dunque urgente e necessario chiedersi quale direzione prendere, verso dove camminare. Parlare di unificazione delle parrocchie probabilmente suscita perplessità e paure. Ma, come ci viene opportunamente ricordato, dobbiamo avere chiara la consapevolezza che le piccole comunità non saranno cancellate o abbandonate. Già ora possiamo notare che sono tra loro collegate per la catechesi, per l’animazione liturgica, per la formazione dei laici nei gruppi del vangelo, e qualche volta anche per l’esercizio della carità. L’obiezione più frequente riguarda la difficoltà a partecipare alla messa.

Eppure la distanza dal luogo delle celebrazioni non dovrebbe far problema. È probabile una certa pigrizia nei confronti del luogo e dell’orario di celebrazione non sempre giustificata. Ci si sposta frequentemente per cose ritenute necessarie senza troppi disagi e intoppi. È vero però che le nostre comunità sono formate da molti anziani e sono soprattutto loro a essere presenti nelle celebrazioni. Inoltre nei mesi invernali con la neve, il freddo, le strade ghiacciate è tutto più complicato. Non pochi decideranno di seguire la messa alla televisione col rischio di rendere la comunità evanescente, dimenticando che è presenza essenziale.

Graziadei maggio

A partire dagli anni del Covid in alcune parrocchie ci si collega con una chiesa della zona per la diretta streaming, che sicuramente è un servizio per gli ammalati e per chi fatica ad uscire di casa, ma non è esente dai rischi connessi con la televisione. L’assemblea è il primo attore della celebrazione. E infatti la messa “normale” è quella in cui è presente il popolo, che ascolta la Parola di Dio e che vive la fraternità.

Mi vado ripetendo da qualche tempo che a tener viva la comunità cristiana continuerà ad essere la Parola di Gesù, letta e meditata; la messa non sarà celebrata sempre in ogni comunità, mentre sarà sempre possibile ad alcuni laici incontrarsi per momenti di formazione attorno al Vangelo. Il vescovo non si stanca di raccomandare e insistere proprio su questo: partendo da una seria e condivisa riflessione che ha al centro la Scrittura, nasceranno persone responsabili in grado di proporre la catechesi, di celebrare la liturgia della Parola, di essere attenti ai sofferenti.

Ciò che ora mi pare urgente è iniziare a coinvolgere comunità diverse, scegliendo le strutture in cui convergere, individuando risorse umane e organizzative provenienti da diverse parrocchie, alcune delle quali hanno solo la chiesa come luogo di ritrovo; non c’è una canonica, o è cadente, non c’è un oratorio dove incontrarsi con i bambini e i ragazzi, giovani o adulti per iniziative diverse dalla liturgia. Riuscire a stare insieme offre sicuramente maggiori possibilità e opportunità. Fondamentale è pensare alla celebrazione eucaristica domenicale in questa prospettiva.

È un esercizio sterile limitarsi, come si è fatto in passato e spesso si continua a fare, a garantire la messa festiva più comoda, soprattutto se questo ha come conseguenza celebrazioni poco curate (dalle letture, al canto, all’omelia) che non sono l’espressione di una comunità cristiana attiva e dove non si sperimenta la gioia di incontrarsi tra fratelli. Occorre strutturare una rete di comunità indicando alle persone dove convergere per la celebrazione, tenendo presenti le differenze che esistono - e sono importanti - sul territorio.

Termino con l’osservazione che Elsa Antoniazzi pone alla fine del suo interessante articolo su Settimananews.it: «Parrocchie si cambia, ma come?» Dopo aver chiarito che il calo numerico dei preti pone diversi problemi, non ultimo la presidenza nella celebrazione della messa, si chiede se «non dev’essere ripensato il ministero del presbitero». Per ora «non è bastata la sempre più evidente mancanza di ministri per incentivare la riflessione. In ordine alla partecipazione del laicato, il papa ha dato un aiuto istituendo il ministero del catechista, presenza molto importante in altri luoghi del mondo. Ma la ministerialità diffusa, il sacerdozio battesimale, sono talenti ancora poco trafficati».

E conclude: «L’impressione, però, è che, finché la situazione delle comunità non ci porta a rileggere il ministero, non possiamo che sperare nella tenuta psico-fisica e spirituale dei pastori. Un uomo così preso da mille incombenze, fosse solo per coordinare, riuscirà ad avere il tempo per riflettere da solo o con altri su come stare nell’oggi e avere quella paziente delicatezza per avvicinarsi alle persone lontane che, in qualche modo, interpellano la vita ecclesiale?» Non sarà un compito semplice e subito risolvibile. Infatti «ripensare la configurazione del ministero non è compito di un singolo vescovo e neppure di una diocesi. Nel cammino sinodale italiano la questione è stata messa a tema, speriamo che si vada verso la capacità di raccogliere gli aspetti più convincenti proposti finora, che portano in sé i connotati del territorio ma anche aspetti ecclesiologici che riguardano tutte le Chiese».



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