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Manaslu, Gianfranco Corradini: ‘In montagna a volte bisogna saper dire di no'

sab 24 feb 2024 10:02 • By: Giulia Colangeli

A Vermiglio la storia del primo tentativo di conquista dell’ottomila da parte di un atleta amputato

VERMIGLIO. Una spedizione durata 40 giorni, il sogno del Manaslu (8163 m) che nell’autunno 2019 ha visto protagonisti Gianfranco Corradini, Massimiliano Gasperetti, Renato Mariotti, Stefano Pedranz e Mario Casanova: “Kutang, la montagna delle anime” è il lungometraggio - proiettato ieri sera al polo culturale di Vermiglio - che racconta il primo tentativo di salita del Manaslu da parte di un atleta amputato.

Gianfranco Corradini perse la gamba sinistra in un incidente motociclistico nel 1977, ma la sua carriera alpinistica non era ancora sbocciata. Lo sport e la montagna tornarono presto ad essere un sogno, una sfida e poi il suo pane quotidiano in compagnia di Gasperetti, con il quale ha condiviso più di una spedizione, e degli altri membri del gruppo: “Devo ringraziare loro, che mi hanno fatto vedere la vita in modo diverso. Un disabile dopo un incidente o una malattia entra in un tunnel nero e fa fatica a uscire” ha raccontato al pubblico.

Oggi indossa una protesi per comodità, ma non la utilizza in montagna: in ogni diapositiva si vedono chiaramente le due stampelle e si nota il ritmo irregolare del suo passo, quasi più simile a un salto.

In un ambiente ostile all’uomo, senza l’uso di ossigeno supplementare, dove per un movimento più rapido degli altri si soffre facilmente l’affanno, Corradini ha utilizzato comunque le stampelle e il prezioso, strategico sostegno del team, ormai collaudato. “In montagna non ci sono scorciatoie” ha sottolineato. “Ma tante cose che non pensavo mai sarei riuscito a fare, con loro sono riuscito a farle. Se si vive una vita piatta, prima o poi si cade in momenti difficili… loro mi hanno fatto vivere una vita di qualità”.

La cima del Manaslu, il sogno di tutti e 5 gli alpinisti, resta però ancora un sogno: oltre i 7400 metri, al campo 4, dopo l’ennesima notte insonne per le condizioni avverse e un mese di privazioni, è arrivato per loro il momento della rinuncia.

“Il limite ognuno lo dimostra tutti i giorni, nelle scelte che fa anche solo andando a fare scialpinismo” ha commentato Gasperetti, capo spedizione. Diventa facile rischiare l’errore quando la fame e il sonno prendono il sopravvento, la carenza d’ossigeno mina le facoltà mentali e la lucidità viene meno per il freddo. Il gruppo ha deciso di rinunciare, di rispettare il limite. Due giorni dopo, la finestra temporale ritenuta valida per tentare la cima si è chiusa definitivamente: si è presto rivelata una stagione breve, piena di difficoltà per tutti i gruppi. Molti di coloro che hanno tentato l’impresa non sono mai tornati a casa per raccontarla.

E nel racconto stesso dell’avventura, che non è la conquista della cima ma la modalità con la quale il gruppo ha deciso di progredire, sta la vittoria più grande ottenuta al prezzo di un rischio altissimo: “Siamo tornati tutti a casa” ha evidenziato, concludendo, Corradini: “Si vive anche senza aver fatto la cima, ne abbiamo fatte molte altre insieme. Questa è stata una bella esperienza vissuta insieme, tra amici, e ce la porteremo dentro per sempre. Ma alla montagna bisogna anche dire di no”.



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