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Corsa agli armamenti

dom 03 mar 2024 11:03 • By: Renato Pellegrini

Si assiste a una crescita della produzione di armi nell’indifferenza

Spero di sbagliarmi, ma quello che sta accadendo in questo periodo della storia umana, passa con una grande indifferenza. Forse ci sono poche notizie sui media e poche persone le leggono, poche persone si interessano. Sto parlando dei 240 miliardi di dollari che nel 2023 sono stati spesi per acquistare nuove armi. Si tratta del 2,2% del Pil mondiale. Dovrebbe essere insopportabile per tutti che si spendano tanti soldi per strumenti di morte, che poi vengono a mancare per la sanità o per il sociale. Un F35 costa come 3.244 letti in terapia intensiva, con il costo di un sottomarino si potrebbero acquistare 9.180 ambulanze…

Diventa sempre più urgente chiedersi se è lecito fare profitti enormi sulle catastrofi e sui massacri. Le armi servono per le guerre; più se ne costruiscono e più sono possibili le guerre. Da due anni si combatte in Ucraina senza alcuna prospettiva. Non vincerà nessuno. Certamente gli sconfitti saranno bambini, donne e uomini uccisi, mutilati, senza una casa. E lo stesso sta accadendo a Gaza, dove si muore anche di fame e perché ci si vuole nutrire cercando disperatamente di accaparrarsi un po’ di farina. Ma sono molti altri i posti nel mondo dove trionfa la morte violenta.

C’è naturalmente chi sostiene (e purtroppo sembrano essere in maggioranza) che per difendere la patria o l’Europa l’unica strada sia armarsi il più possibile, senza escludere nemmeno un possibile ricorso ad armi nucleari.

Graziadei maggio

Anna Fasano, presidente di Banca etica, rivolge lo sguardo anche all’Italia, «dove si sta cercando di smantellare la legge 185 del 1990 sull’export di armi» con una motivazione quantomeno sorprendente: «il commercio di armamenti deve essere rapido e non può sopportare rallentamenti». (Avvenire, 29 febbraio 2024) In pratica si vorrebbero togliere tutti quei criteri di trasparenza che quella legge aveva introdotto, facendo in modo che il Parlamento venisse informato e potesse esprimersi. La legge 185 prevede che si possano conoscere anche le banche che finanziano e sostengono la produzione e l’esportazione di armi.

Ma non è inaccettabile che non si metta mano con lo stesso fervore all’eliminazione delle liste d’attesa per gli ammalati? Non è inaccettabile che nelle carceri si continui a morire per suicidio, dato il sovrannumero di detenuti, costretti a vivere in situazioni disumane? E non si potrebbe investire di più nella ricerca e nella scuola in genere? Può forse aspettare chi muore in mare o sul lavoro? Non è inaccettabile che il nostro Paese rinunci alla trasparenza sui business legati alle guerre? Certamente c’è chi ci guadagna anche dal commercio di armi. In fondo vale anche qui, anzi soprattutto qui, l’antico detto: «mors tua, vita mea». Ma, si chiede Tonio dell’Olio, «siamo sicuri che non sia piuttosto una morte per tutti?» Papa Francesco, come tutti i predecessori, esprime da sempre un pensiero netto, preciso. La guerra è «una sconfitta di fronte alle forze del male». E non si possono fabbricare armi e sentirsi innocenti. La Santa Sede non ha come compito quello di emanare giudizi, ma di indicare vie che conducono alla pace. «Lo scetticismo di qualche settore occidentale o ecclesiastico verso il papa… nasce dalla fatica a capire chi non canta con il coro o contro di esso. Manifesta un’incomprensione di fondo sul Vaticano che, anche come realtà in Europa, da sempre rappresenta una terzietà o un’alternativa alla guerra. Ha valore sul lungo periodo, creando spazi e opportunità… Forse lo scetticismo è anche prodotto di una cultura, per cui si fa fatica ad immaginare un futuro diverso dalla guerra». (A. Riccardi: Corriere della sera, 28 febbraio 2024) È un mondo impazzito, che ha creato un circolo vizioso: la guerra serve per costruire la pace, per la guerra servono armi, sempre di più, sempre più potenti. E l’umanità intanto cammina sull’orlo de baratro.     

 



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