Skin ADV

Quando Dio tace

dom 07 apr 2024 09:04 • By: Renato Pellegrini

In tutto questo non si ode la voce di Dio, non una sua parola, perché la parola è lasciata alle armi, a chi le costruisce, a chi decide di usarle

La Pasqua è passata ed è stata una Pasqua immersa in non pochi orrori; in primo luogo la guerra che non risparmia bambini, donne e anziani, la guerra dove a morire sono principalmente i civili innocenti e la verità è fatta a pezzi per lasciare il posto alla propaganda dei potenti.

In tutto questo non si ode la voce di Dio, non una sua parola, perché la parola è lasciata alle armi, a chi le costruisce, a chi decide di usarle. Sono l’unica soluzione in grado di portare la pace, di far crescere un mondo di ipocrisia. In fondo “finché c’è guerra s’è speranza”, secondo il titolo di un amaro film di Alberto Sordi. Questi sono tempi in cui Dio non può parlare.

A gridare sono gli uomini, a cominciare da quelli che credono di averne preso il posto. In troppi parlano di Dio come fosse un giocattolo nelle loro mani. Perfino uomini a capo della religione delirano proclamando la «guerra santa», scordando che ogni guerra per prima cosa ha sempre ucciso Dio. Sono troppe poche le voci che si alzano a difendere la dignità umana, la vita continuamente messa in pericolo. Tra queste c’è quella di papa Francesco, che sa descrivere con lucidità questo momento drammatico. Dio non accompagna gli eserciti, non benedice le armi, non si pone di fianco a chi le usa o comanda di usarle. Chi si rifiuta di fare la guerra non è un traditore, ma uno che sa ragionare con la sua testa, perché il crimine più grande, come ci insegna il venerdì santo, è il non saper pensare con la propria testa, è obbedire ad occhi chiusi, è non saper avere un sussulto di umanità e di orgoglio: almeno su questo Dio ha parlato e continua a parlare comandando: tu non uccidere! «Il silenzio di Dio è il giudizio di condanna per uomini che vogliono solo l’affermazione di sé, della propria tradizione» (Andrea Grillo).

Graziadei maggio

E Dio condanna in modo ancora più netto quegli uomini di chiesa o capi della religione che appoggiano questa follia. «Cristianamente e logicamente la guerra non si regge», scriveva don Primo Mazzolari. «Cristianamente, perché Dio ha comandato: «Tu non uccidere» (e «Tu non uccidere», per quanto ci si arzigogoli sopra, vuol dire: «Tu non uccidere»); e per di più si uccidono fratelli, figli di Dio, redenti dal sangue di Cristo; sì che l'uccisione dell'uomo è a un tempo omicidio perché uccide l'uomo; e deicidio perché uccide con una sorta di «esecuzione di effigie» l'immagine e la somiglianza di Dio, l'equivalenza del sangue di Cristo, la partecipazione, per la grazia, della divinità».

Ho pensato con una certa sofferenza se celebrare la Pasqua poteva avere ancora senso in un contesto tanto drammatico e brutale. E ho risposto di sì. Celebrare la Pasqua oggi vuol dire scoprire il volto misericordioso di Dio, che insieme con gli uomini si fa sacrificio, perdono e vita. Ogni cristiano sa bene che Gesù è stato condannato giusto per gli ingiusti, innocente per i peccatori. Non è stato ucciso per volontà di un Padre crudele, ma per gridare che nella violenza e nell’odio c’è solo morte.

La liturgia del tempo di quaresima ci ha fatto leggere un brano bellissimo della vita di Gesù. Gli portano una donna sorpresa in fragrante adulterio e gli chiedono di applicare la legge di Mosè, secondo la quale donne di tal fatta devono morire. Gesù pare non ascoltare. Scrive, chinato per terra, sulla sabbia. Di fronte all’insistenza degli accusatori, guardandoli bene in faccia, esclama: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E continua a scrivere. Tutti se ne vanno. A cominciare dai più anziani, annota il Vangelo. Non è la legge, nemmeno la legge religiosa che salva e fa giustizia, è la misericordia, è l’incontro con chi vive anche nella contraddizione, il suo essere parte della medesima umanità. Risurrezione è questo incontro che fa vivere, è questo tendere la mano per rialzare chi è caduto. Il mio Dio, Gesù, non sta solo nello spazio del tempio, non sta solo nel culto, nei sacrifici, nel mio modo di manifestare ossequio alla divinità con genuflessioni, inchini davanti al tabernacolo… Gesù sta nella relazione, là dove due volti si sorridono, una mano si tende verso un’altra, accarezza una persona fragile, asciuga una lacrima. Quando mi accosto all’Eucaristia, e dunque proprio allora celebro la Pasqua, come accadde ai discepoli di Emmaus devo allontanare dal mio cuore superbia, ira e invidia. Allora e solo allora posso scoprire i fratelli. E comincerò ad allontanarmi «dalla logica con cui i potenti pretendono di ridurre alla idolatria del potere la nostra fede» (A. Grillo). E ho capito finalmente che Pasqua è accettare di essere uomini e donne che non si arrendono a nessuna violenza e «non escludono dalla loro comunione chi con troppa facilità si è tentati di ritenere irregolari».

 



Riproduzione riservata ©

indietro