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Una cicatrice sul cuore

lun 25 mag 2020 • By: Elisa Rita Gelsomino

Dopo Covid-19 ognuno di noi è chiamato a elaborare il proprio lutto personale

Dopo due mesi di quarantena in quasi totale isolamento e l’avvio della fase 2, è partito il momento dei bilanci e delle somme da tirare. Nessuna cosa è tanto complessa come quella di provare a fare un’analisi a posteriori di quello che probabilmente è, e sarà, uno dei momenti più complessi del nostro tempo.

Come è forse oramai chiaro a chi mi legge, tendo sempre ad essere sensibile ai diversi occhi che possono posarsi sui miei articoli. Di solito, provo a non dare giudizi e le mie valutazioni sono sempre personali ma nel rispetto di tutti. In questo momento così particolare ho provato a mettermi nei panni dei diversi attori di questa storia, e con non poche fragilità, ho provato emozioni forti e difficili da spiegare.

Quanti punti di vista esistono? Quante realtà diverse? Prime linee, seconde, terze e quarte linee, dove ognuno ha combattuto con le proprie difficoltà. Al di là delle cose oggettive, mi pare difficile schierarsi da una o dall’altra parte, perché, cari amici, è chiaro che in questa vicenda non c’è un unico lato della barricata. Si sente sempre il bisogno di tirare l’acqua al proprio mulino, perorare la propria causa, spesso contro qualcuno che in quel momento viene imputato come il responsabile, il colpevole, colui su cui riversare rabbia, frustrazione e paura. In tutta onestà credo che non ci sia un colpevole stavolta, forse nemmeno il virus stesso lo è, in quanto si è comportato esattamente come ci si aspettava da lui.

Nel precedente articolo ho raccontato una storia (QUI L'ARTICOLO), immaginando un futuro lontano in cui guarderemo a questo momento incredibile con emozioni nuove, distanti e speriamo, con rinnovata serenità. Ma oggi, nel qui ed ora della nostra realtà, dobbiamo fare i conti ognuno con la propria esperienza e con la propria piccola o grande fatica vissuta. Ci sono i medici, gli infermieri, gli operatori socio assistenziali, che hanno vissuto un momento lavorativo che non potranno mai scordare, non hanno avuto a che fare con la fatica per la prima volta e nemmeno con il lutto, ma differenza di sempre, lo hanno fatto con più emergenza, sostituendosi ai parenti, agli amici e con gli occhi di tutti noi addosso. Non ho molto da dire, se non un grazie da rinnovare per ieri e ricordare domani. I cassieri, i banconieri, tutti i lavoratori dei supermercati e della frutta e verdura vari. Ci hanno garantito un servizio impavidi e sorridenti. Tutti gli uomini della protezione civile, che hanno continuato a prestare volontariamente il proprio tempo e le proprie risorse per gli altri. Ci sono le case di riposo, chi le gestisce e chi le vive, ci sono i parenti di questi nonni che oltre all’emergenza hanno dovuto affrontare un terrorismo mediatico senza pretendenti, un lupo si è mangiato una pecora e allora per non sbagliare ci si è messo il dubbio che fossero tutti lupi.

Penso a tutte le mamme come me, lavoratrici libere professioniste o dipendenti che si sono ritrovate a casa, rinunciando non solo al lavoro ma ad una parte di sé, come se essere madri facesse di tutto il resto un bisogno non necessario. Penso ai bimbi, alle persone con disabilità, ai nonni lontani, ai maestri, ai professori, agli universitari e ai maturandi 2020 che si sono rimboccati le maniche e reinventati il modo di affrontare i propri obbiettivi. Come non pensare alle migliaia di lavoratori rimasti senza occupazione, ai cassintegrati e a tutti coloro che vivono alla giornata, rimasti con poche speranze o in balia dell’aiuto altrui. Penso anche a chi, prendendosi la responsabilità di tutti noi, ha dovuto affrontare delle scelte: giuste, sbagliate, a tempo debito o in ritardo.

Detto tutto ciò, vestiti i panni più o meno scomodi di qualcun’altro, come si fa a pensare di avere il diritto di puntare dita, emettere sentenze o semplicemente pretendere ragione? Se allargo lo sguardo in fondo ai miei pensieri e alla fine delle mille visioni di tutto ciò, resta il lutto, rimane la perdita e la morte, vissuta in solitudine, di tutte le vittime di questa pandemia. Resta un abbraccio non dato, un ultimo sguardo d’amore perso. Resta il vuoto di chi se n’è andato. Resta il magone per chi ci ha lasciato a causa o no del virus, morto per o con esso, al quale non abbiamo potuto dire addio, o grazie o ti voglio bene. Per tutto il resto ci vorranno sostegno economico, spinte per la ripartenza, linee guida e pazienza. Per tutto il resto ci vorrà tempo e amore. Ognuno di noi nel suo piccolo ha la sua fatica non misurabile e non quantificabile con cui fare i conti. Ognuno di noi ha bisogno di fiducia e dell’altro. Ricordiamoci questo, quando incontreremo reciprocamente i nostri occhi non coperti da nessun dispositivo di protezione. Uguali agli occhi dell’altro, uguali agli occhi che avevamo mesi fa, con una tristezza in più ma anche consapevolezza e soprattutto speranza di quello che verrà.


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