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Quale sostenibilità

mer 10 nov 2021 • By: Nora Lonardi

Rinunciare ai piccoli grandi privilegi per il bene di tutti

Il tema della sostenibilità ha avuto grande seguito a partire dagli ultimi decenni dello scorso millennio per arrivare all'epoca attuale.

Quando la redazione del NOS mi ha proposto questo argomento del forum, mi è venuto spontaneo pensare di approfondire il tema della sostenibilità sociale. Tuttavia la riflessione specifica non può che intersecarsi con altre questioni, secondo un'ottica di ecosistema.

Di fatto la prima accezione di questo tema è stata quella ambientalista, ma fin da subito i fautori ne hanno colto le diverse implicazioni, come già Alex Langer, che possiamo ricordare come grande precursore del dibattito sulla sostenibilità, aveva intuito: "La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile (...). Inevitabilmente ci si dovrà sottoporre alla fatica dell'intreccio assai complicato tra aspetti e misure sociali, culturali, economici, legislativi, amministrativi, scientifici ed ambientali." (https://www.alexanderlanger.org/it/140/268)

L'Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile sottoscritta nel 2015 dagli stati membri, dal titolo "Trasformare il Mondo", ha fissato gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, precisamente 17, suddivisi in quattro blocchi, o pilastri: 1. il pilastro sociale; 2. il pilastro economico; 3. il pilastro ambientale; 4. la governance del sistema. Tutti questi pilastri sono essenziali e intersecanti. Come dire che se anche uno solo non viene perseguito, tutto è vano. Ma non è forse un caso che al primo livello sia stato posto quello sociale-economico, e precisamente specificato secondo i seguenti obiettivi: Povertà zero, Fame zero, Salute e benessere, Istruzione di qualità, Uguaglianza di genere, Lavoro dignitoso e crescita economica, Ridurre le disuguaglianze, a cui si aggiunge Pace, giustizia e istituzioni forti. Seguono altri obiettivi di natura economico-ambientale che non sto qui a elencare.

È dunque evidente la stretta parentela fra sostenibilità sociale e sostenibilità economica - il cui concetto centrale è quello di equità - che in ogni caso coesistono con la sostenibilità ambientale.

Nello stesso anno (pur se pubblicato nel 2016) usciva l'enciclica "Laudato si' " di Papa Francesco, nella quale il capitolo quarto veniva titolato "Un'ecologia integrale", da cui riportiamo i seguenti passi: Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura In altre parole, non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri (https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/l-ecologia-integrale/)

Molto altro è stato, ed è attualmente, detto e scritto su questo. Sarebbe davvero arduo fare una sintesi esaustiva, basta collegarsi a internet e si troveranno pagine e opere intere, per chi sia interessato.

Il senso vero della questione sta nel fatto che, oltre a fare la raccolta differenziata, a rispettare le regole del risparmio energetico, a creare strutture ecocompatibili, a produrre biologico, a mitigare l'impatto di un turismo di massa... tutte azioni degne e nobilissime e di sicuro effetto, cosa si può fare davvero per una vera e completa sostenibilità? E la domanda centrale è: quanti di "noi", intendendo con ciò mondo occidentale, con gravi sperequazioni interne e ancor più gravi nei confronti del mondo drasticamente povero, sarebbero davvero disposti a fare qualcosa in più della "solidarietà" o della "carità" o "beneficenza". Il che significherebbe rinunciare a piccoli e grandi, per non dire enormi, privilegi, in nome di un'equità economico- sociale, di rivedere fortemente un modello di sviluppo - che così com'è inevitabilmente porterà alla fine della "civiltà" - in favore di una redistribuzione del reddito non in termini assistenzialistici, ovvio, ma come impegno di ognuno, nella misura in cui può, a mettere competenze, risorse, ricchezze a disposizione di progetti di progresso, più che di sviluppo?

Quanto sentiamo davvero il peso di una "povertà" globale (e non si deve per forza andare oltremare od oltreoceano per trovarla), una povertà non solo economica, anche che questo è il fattore che lega tutto (il che già la dice lunga), ma anche di mezzi e strumenti sociali, culturali, istruzione...

Forse non c'è altro da aggiungere, se non un interrogativo. Il mondo intero, e in particolare questo mondo, al di là degli intenti e dei proclami giustamente affermati nelle sedi istituzionali come in quelle informali, sarà mai davvero pronto per questo. E quanti lo vorremmo davvero? Quanto e quando tutto questo sarà, per tornare al quesito di Alex Langer, socialmente desiderabile?


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