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Le sveglie della storia

dom 20 mar 2022 • By: Alberto Mosca

L'invasione dell'Ucraina ci ha svegliati da un comodo torpore durato per vent'anni

La guerra è tornata e la storia si è rimessa in movimento, sconvolgendo una stasi che nell’ultimo ventennio ci aveva forse illuso. Meglio, addormentato. Per questo le sveglie della storia sono così traumatiche, così violente da lasciarci disorientati.  

Eppure nei decenni precedenti, conflitti lontani, guerre per procura, non sono mai cessati e con essi il confronto a distanza tra le potenze.

Ora, come altre volte è accaduto nella storia, i conflitti si sono avvicinati al loro punto di origine, deflagrando in un vecchio continente che la guerra l’aveva dimenticata.

E che si ritrova oggi con una guerra europea che si presenta con tre facce: la guerra del XXI secolo, fatta anche di cyberwar, guida intelligence sul campo di battaglia, racconto social continuo, in diretta e con una propaganda diffusa all’ennesima potenza; una guerra novecentesca, quella delle manovre a tenaglia e degli assedi che per stile assomiglia alla Seconda guerra mondiale; una guerra di resistenza, dai toni risorgimentali, come ci ha ricordato a Odessa quel “Va’ pensiero” cantato dai musicisti della storica città, fondata da un napoletano.

E la sveglia della storia mostra anche all’Italia i guasti portati da decenni di inerzia: con l’assenza ventennale di una vera politica estera che puntasse al multilateralismo e a una continua, assidua, opera di costruzione di rapporti e di dialogo; con l’assenza ventennale di una precisa politica energetica, tale da renderci dipendente da tutto e da tutti; con l’incapacità e il disinteresse nel leggere segnali politici che da tempo dovevano metterci in guardia. 

La stessa sveglia per la quale, tanto per dire, al dilagare della pandemia di Covid19 ci siamo resi conti di quanto fosse stata depotenziata negli anni scorsi la macchina della sanità.

Ora il fronte orientale ritorna dopo oltre un secolo: allora a dividere due imperi antagonisti, ora a contrapporre l’Alleanza atlantica e un impero perduto che ambisce a ritornare a glorie vestite di panslavismo russo, condito di storia comune, ortodossia, e nostalgia sovietica: l'ormai noto "Русский мир", il mondo russofono sul quale vantare un ruolo di guida. Con sullo sfondo una potenza che probabilmente la guerra l’ha già vinta, quella Cina che ha abbracciato la Russia in funzione anti-americana ma che comunque gioca sempre e solo per se stessa e il suo disegno di egemonia economica globale.

Nella narrazione putiniana si toccano i tasti del supposto tradimento perpetrato dall’Ucraina che sceglie l’Occidente (la Ue, la Nato…) abbandonando lo storico legame con russi e bielorussi: una narrazione cui si aggiunge la necessità di denazificarla, di ripristinare una garanzia securitaria messa a rischio da tali derive.

Indubbiamente la politica di allargamento a est non si è distinta per gradualità e prudenza; ma è altrettanto indubbio che l’Ucraina di oggi non sia più quella del 1991, quando l’Urss si dissolse, e che uno stato sovrano possa scegliere modelli di riferimento culturali e politici senza subire per questo un'aggressione. La tutela dei russi del Donbas non necessitava un'invasione di tali proporzioni per essere ottenuta. 

Anche in questo contesto la sveglia è arrivata sonora perché abbiamo scelto di ignorare determinati segnali, che possiamo far risalire alla conferenza di Monaco del 2007, quando Putin ebbe modo di presentare il suo manifesto di politica estera: allora accusando Washington di tentare di imporre i propri standard ad altre nazioni, minacciando la Russia attraverso i programmi di scudi missilistici, di voler alimentare i conflitti globali attraverso l’uso unilaterale della forza. Preoccupazioni legittime? Forse, ma non dimentichiamo che negli anni precedenti non erano mancati i segnali di apertura verso la Russia da parte dell’Occidente: basti pensare al G7, che si allargò a 8 membri o addirittura, all’ingresso nella Nato della stessa Russia. Piccole ragioni quindi, che non possono coprire i grandi torti del nuovo zar di tutte le Russie.

Si dice che dopo il discorso di Monaco l’allora premier polacco, Lech Kaczynski, preconizzò l’aggressione alla Georgia (che avvenne nel 2008), quindi all’Ucraina (che nel 2014 perdette la Crimea, russa fino al 1954 invero, parte del Donbas e ora è invasa), per finire con Moldavia e Polonia. Questo sarebbe stato il completamento del progetto di Putin di riunificazione sotto la sua guida del mondo russo smembrato alla fine dell’era sovietica.

Da anni i paesi centroeuropei, che da vicino conobbero la sovranità limitata imposta dall’Urss, dopo la fine della Guerra fredda protagonisti di una corsa a entrare nell’Alleanza atlantica, ammoniscono i vicini occidentali sul pericolo di un neo-espansionismo russo. Noi, in nome degli affari, abbiamo spesso bollato come esagerati e tendenziosi quei timori. I fatti danno ora loro ragione.

Siamo dentro gli eventi e le risposte non tarderanno ad arrivare. Ma occorre fare attenzione, cogliere dai fatti di questi giorni i segnali che possano evitarci brusche sveglie nei decenni a venire: per esempio, guardando al prossimo riarmo generale dell’Europa, che si è riscoperta debole rispetto alle minacce che vengono da est: e da questo punto di vista, le parole “Germania” e “riarmo” udite associate in questi giorni non possono che in prospettiva creare qualche suggestione dai forti precedenti storici.

Un’ultima cosa: ancora una volta un regime dittatoriale ha aggredito una democrazia. Forse per questa circostanza Putin ha visto minacciato il proprio potere: una democrazia all’occidentale ai propri confini, tale da permettere e alimentare confronti, ragionamenti, dissenso.

E poi fateci caso, mai due democrazie si sono fatte la guerra. La risposta è ancora qua, in una forma di stato che taluni disprezzano, sottovalutano, deridono nei suoi evidenti limiti. Ma che rimane l’unica possibile e davvero auspicabile. 


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