Skin ADV

65 anni fa, la tragedia aerea del Giner

dom 24 gen 2021 17:01 • By: Alberto Mosca

La testimonianza del carabiniere bolzanino Benito Torricelli, raccolta da Luca Fregona per il quotidiano Alto Adige

Sul colle Tomino di Ossana, il monumento ai caduti della sciagura aerea del Giner (ph. Alberto Mosca)

Era il 22 dicembre 1956 quando una terribile sciagura aerea colpì l’aviazione civile italiana, avendo come teatro le montagne della Val di Sole. Un bimotore DC 3 della LAI, partito da Roma alle 16.18 e diretto a Milano Malpensa atteso per le 18.15, non giunse mai a destinazione, schiantato sulle guglie di Caldura, sul monte Giner. Morirono 21 persone: 17 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio. Tra i soccorritori vi era il carabiniere bolzanino Benito Torricelli, 88 anni, la cui straordinaria testimonianza è stata pubblicata qualche giorno fa da Luca Fregona sulle pagine dell’Alto Adige. Torricelli liberò dal ghiaccio le vittime e portò a valle i corpi della hostess e del pilota. Alla fine svenne e finì in ospedale con un principio di congelamento all'addome e alle mani. Torricelli, che all’epoca aveva 23 anni, arrivò sul posto dopo una marcia a 30 gradi sottozero iniziata nel cuore della notte. Nel racconto riportato da Luca Fregona rivivono le figure delle vittime di quella tragedia, in viaggio su un vecchio Dakota che aveva fatto la Seconda guerra mondiale. Come Carlo Bardelli, di ritorno dall’Arabia Saudita per la morte della moglie; Armando De Petis, agente pubblicitario; Giorgio Calimani, commerciante di abbigliamento; Camillo Gariboldi, industriale di Vigevano; Amleto Mantegazza, segretario dell’onorevole del Psdi Matteo Matteotti, figlio di Giacomo, originario di Comasine, paese posto pochi chilometri più a nord rispetto al luogo dello schianto. E poi Giuseppe Scarpari, funzionario della Montecatini; Giulio Tieghi, commercialista: la moglie – racconta Fregona - gli disse di aspettare un giorno, di prendere il treno il giorno dopo. Ma lui prese l’aereo, per fare prima. A bordo vi era a anche Harris Gray, di Greenwood, South Carolina, Stati Uniti, direttore della Coca Cola per tutti i paesi del Mediterraneo, insieme alla moglie Eddy. Con loro vi era il responsabile per l’Italia, Luciano Renieri.

Autoroen Aprile

 Oltre al comandante Guido Gasperoni, al petto tre medaglie da aviatore nella Seconda guerra mondiale, l’equipaggio era completato dal secondo Lamberto Tamburinelli, dal marconista Romano d’Amico, che in quel giorni compiva gli anni; da Maria Luisa Onorati, detta Marisa, l’unica hostess di bordo. La tragedia avvenne intorno alle 18: l’aereo che da Genova avrebbe dovuto mirare Milano, andò fuori rotta di 150 km, schiantandosi sul monte Giner. Con l’avvio dei soccorsi parte la storia del carabiniere Torricelli, in servizio a Bolzano, scelto per partecipare alla spedizione di recupero: “Chi era nato in montagna per loro era un alpinista. E siccome io venivo dall’Appennino tosco-emiliano, ero una specie di Walter Bonatti…”. Partirono in otto e arrivarono a Madonna di Campiglio, dove Bruno Detassis già nella notte tra il 22 e il 23 aveva organizzato gruppi di ricerca con Cornelio Collini, Natale Vidi, Bruno e Giulio Dellagiacoma, Giordano Detassis, i fratelli Catturani, gli Alimonta, Tonino e Renzo SerafiniSilvano Fostini, l’addetto alla teleferica che collega la val Nambrone ai Laghi di Cornisello vide l’apparecchio volare in direzione nord-est verso il Monte Giner. La sua testimonianza parlò di un aereo che volava “basso perché oltre alle luci di posizione di coda, ho visto la cabina di pilotaggio illuminata e grande come una finestra. Il rombo dei motori era irregolare, sotto sforzo, come se il pilota ne chiedesse il massimo rendimento senza ottenerlo. Pochi attimi dopo vidi la montagna illuminarsi”. Ancora da Celentino testimoni dissero di aver visto verso le 18.30 un grande bagliore sul versante nord del Giner e poi ancora fiamme e luci che lentamente si spegnevano. Intanto un ricognitore individuò i resti. La base operativa venne spostata a Ossana e la mattina del 24 Torricelli partì, con il corpo cosparso di grasso di foca per difendersi dal freddo. A Malga Bon, sommersa dalla neve, entrarono da uno scivolo nelle neve scavato dai pastori. Nella notte del 25 il carabiniere fece parte della squadra guidata dal capitano dei carabinieri Colombaro Colombatti: “Dovevamo partire alle tre del mattino – racconta Torricelli a Luca Fregona - raggiungere il punto della disgrazia e sistemare i segnali per fare atterrare un piccolo elicottero.

Benito Torricelli nel 1956 e oggi (ph. altoadige.it)

Dalle carte era stato individuato un pianoro e in questo punto preciso dovevamo mettere a croce le bandiere italiane per far vedere ai piloti dove scendere. Tutti dovevamo portare nello zaino le attrezzature e dei ciocchi di legno. Il freddo era terribile, si doveva accendere un fuoco in quota per permettere agli uomini di resistere. Faceva 30 sottozero”. La salita durò quattro ore. “La scena che – prosegue Torricelli - ci siamo trovati davanti era orribile”. L’aereo si era spezzato in due, la coda piantata nella neve, i detriti, vestiti, valige, oggetti personali disseminati in un raggio di trenta di metri. I corpi erano sparsi ovunque e orrendamente mutilati, “sepolti da una coltre di neve fresca”. E se qualcuno sopravvisse all’impatto, fu il freddo ad addormentarlo per sempre. I corpi congelati vennero liberati dal ghiaccio con le piccozze, con rispetto, stando attenti a non colpirli ulteriormente: “Avevo 23 anni – dice Torricelli -  ed erano le prime vittime di morte violenta che vedevo in vita mia. Una cosa del genere ti segna per sempre. Era la mattina di Natale. Non te lo puoi più dimenticare”. La discesa in slitta fu difficile ed estenuante, fino al ritorno in albergo a Ossana, pieno di giornalisti e fotografi. “Ricordo a malapena che una giornalista, una donna, mi slacciò gli scarponi. Poi il buio. Ero sfinito. Mi sono risvegliato all’ospedale di Cles con un principio di congelamento della zona addominale e alle mani. Sono rimasto ricoverato lì per diciotto giorni, e poi altri 30 all’ospedale militare di Bologna”. Qui finisce il racconto di Benito Torricelli, che ricevette un encomio solenne dall’Arma, un messaggio di ringraziamento dalla Coca Cola accompagnato da un premio in denaro che i carabinieri devolvettero ai familiari delle vittime, infine una lettera affettuosa da alcuni di quegli orfani. “La medaglia più bella”. Mentre si avviava all’ospedale, la tragedia del Giner si preparava a finire su tutte le prime pagine dei giornali d’Italia, ma anche in Parlamento, dove ci si interrogò sui perché dell’incidente (errore umano, avaria, meteo), sulla mancanza del radar, l’efficienza dell’assistenza da terra. Alla fine la sciagura fu attribuita a  “circostanze sfortunate e fatali”: la Lai viene sciolta e fusa con Alitalia. “Comunque - commenta Fregona - la tragedia del Monte Giner diede una forte spinta al rinnovamento del trasporto aereo civile in Italia e ai protocolli di sicurezza, e anche alle tecniche di soccorso e ricerca in ambito alpino”.

L’intervista integrale si trova sull’edizione del quotidiano Alto Adige del 16 gennaio 2021 (Qui il link)



Riproduzione riservata ©

indietro