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Dal mal da l'ors alla dòia

gio 19 mar 2020 09:03 • By: Laura Abram

Detti popolari nonesi e solandri raccontano certe strane malattie. Uno sguardo linguistico

Attenti al "mal da l'ors"!

Per molti anni, da piccola, mi sono chiesta perché sedermi sul muretto freddo in giardino avrebbe dovuto provocarmi el mal da l’órs. In ogni caso mi sono sempre alzata in fretta, per la paura di qualche cosa di terribile che inspiegabilmente collegava il freddo, il sedere e gli orsi. Solo molto tempo dopo ho capito che con il mal da l’órs s’intendono le emorroidi, in noneso talvolta anche maròide, o più genericamente un dolore localizzato nella zona del sedere. Quest’espressione deriverebbe, infatti, dal tedesco Arsch, termine poco fine per chiamare appunto il nostro didietro, e quindi il mal da l’órs altro non è che il mal da l’arsch, che ha subìto una trasformazione fonetica per somiglianza con una parola esistente in noneso. Questa scoperta ha risvegliato in me altre curiosità, poiché mi sono resa conto che i termini medici dialettali sono spesso divertenti e legati ad una descrizione piuttosto semplice e concreta dei sintomi che provocano. Vediamo ad esempio el mal cadùt, cioè l’epilessia, per via della possibilità che durante un attacco piuttosto forte si possa anche cadere a terra.

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Sempre sulla stessa falsariga abbiamo l’espressione mal da la préda/prièda, male della pietra, ossia i calcoli renali o della vescica, pietruzze tanto piccole quanto dolorose; e mal zalt, cioè l’itterizia, che rende effettivamente giallo chi ne soffre. Meritano una menzione anche le goutare, che in italiano chiamiamo comunemente “orecchioni” e che corrispondono alla parotite, una malattia infettiva che provoca il rigonfiamento delle parotidi, due ghiandole poste tra la mandibola e l’orecchio, e quindi anche l’ingrandimento non normale delle guance, le goute.

Della stagione invernale sono tipiche anche le bugianze/buganze, i geloni, anche se al giorno d’oggi fra scarponi imbottiti e calze termiche sappiamo difenderci piuttosto bene. Secondo il Quaresima, la parola buganze deriverebbe dal francone bukon, intingere in acqua bollente, da cui si sarebbero originati anche il beuchen del tedesco, ossia fare la liscivia, e il nostro fare il bucato. Le buganze, quindi, non sono legate in noneso ai sintomi che provocano, ma al metodo usato per farle passare: immergere i piedi nell’acqua calda. Nelle mani, invece, si potrebbero avere i diaolìni per il freddo, ossia un indolenzimento che corrisponde all’italiano colloquiale “avere le formiche”. Segue a ruota la tòs, sempre presente in inverno, e curiosamente pronunciata in noneso (ma anche in Friulano) con la o aperta, cosa che spinge spesso i bambini a dire: “Maestra, ho la tòsse!”. L’importante sarebbe che la tòs non fosse preambolo di altre malattie, come la tòs ciaìna, ossia la pertosse, malattia infettiva che provoca accessi di tosse molto violenti e ripetuti; oppure la dòia, cioè la polmonite, definita in noneso dòia perché provoca molto dolore all’apparato respiratorio, dal tardo latino DOLIA, dolore, da cui l’italiano doglie, cordoglio, condoglianze.

Insomma cosa può dire un noneso in queste condizioni? Sen malà o anche marót o maródech, dal tedesco colloquiale marod, indisposto, fiacco.



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