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Dio a modo mio

dom 02 mag 2021 09:05 • By: Renato Pellegrini

Alcuni studi fotografano la natura di cristiani e non credenti, anche secondo l'età. E non mancano le sorprese

VALLI DEL NOCE. Rimane sicuramente decisiva la famiglia che orienta il percorso di fede nei bambini fino al momento della cresima attraverso la tradizionale iniziazione cristiana (Battesimo, Prima Comunione e Cresima). Terminato il percorso ha inizio un distacco che è quasi fisiologico e riguarda la stragrande maggioranza. Intorno ai 25 anni c’è un possibile ripensamento.

Questo almeno risulta da una ricerca condotta dall’Istituto Toniolo dell’Università cattolica di Milano e pubblicato a cura della professoressa Bichi e di Paola Bignardi, già presidente dell’Azione Cattolica. Se questo si traduca anche in un riavvicinamento a Dio, non è facile da decifrare. Certamente non lo si può escludere. L’idea di Dio? Personalizzata, fai da te, di proprietà del singolo.

E dunque c’è il rischio che la fede non incida sulla vita concreta e sui rapporti con il prossimo. Dalla ricerca sopra citata risulta inoltre che non si conosce bene la dottrina come, ad esempio, la differenza tra “Cristianesimo” e “Cattolicesimo”. Il primo è considerato sinonimo di bontà, vicinanza agli altri, amore per il prossimo e assume una valenza sociale, mentre il secondo è percepito come sinonimo di “istituzione”. I cattolici invece sono percepiti come “bacchettoni”. Papa Francesco, infine, è considerato decisivo per rinnovare il messaggio e visto come una sorta di “salvatore” della religiosità e della Chiesa dopo gli scandali recenti.

Ecco, in sintesi, la fede dei giovani italiani, i cosiddetti Millennials, che secondo gli ultimi studi del Censis hanno fra i 18 e i 34 anni, lavorano e vivono per conto proprio ma arrivano a fine mese solo grazie all'aiuto regolare dei genitori. È difficile incontrare giovani che si dicano credenti tout court.

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E tuttavia si percepisce l’esistenza di un percorso di fede più ampio rispetto a quanto può sembrare. Ci si imbatte prima di tutto in ragazzi e ragazze che si definiscono «cattolici in ricerca».

Accanto a questo gruppo dall’indagine emergono altri quattro profili. Il primo riguarda «atei e non credenti», caratterizzato da un distacco traumatico e da un riavvicinamento alla fede impossibile. Il secondo riguarda i cosiddetti «critici in ricerca e agnostici», dove la pratica è inesistente e il distacco è stato di tipo intellettuale; il riavvicinamento alla religione è in qualche modo possibile. Vi è poi un terzo gruppo, che potremmo definire di non credenti, a cui la fede e la religione non interessano affatto. Infine si incontrano i «cattolici convinti», dove i distacchi sono assenti o irrilevanti e i riavvicinamenti non problematici.  Come nota la ricercatrice Cristina Pasqualini «i cattolici convinti sono ormai una minoranza, rappresentano lo standard del passato e non più quello del presente».

La ricerca smentisce diversi luoghi comuni sui giovani che ormai sono entrati a far parte della narrazione corrente. Anzitutto, dimostra che non è affatto possibile parlare di una generazione incredula o, peggio, senza Dio e senza valori: «La metafora della liquidità ha preso il sopravvento e tutto viene giudicato sotto questa lente spesso fuorviante», spiega Bichi. «La ricerca di Dio e della dimensione religiosa c’è anche oggi dentro i giovani anche se in forme diverse dal passato».

Smentito anche il vecchio cliché “Gesù Cristo sì, Chiesa no”. «In realtà la situazione è più complessa», «le questioni dottrinali non solo non riescono ad arrivare ai giovani come messaggio ma non fanno emergere in primo piano neppure la figura di Gesù. Il linguaggio di chi comunica con loro dovrebbe cambiare o avvicinarsi di più al mondo giovanile e questo a volte la Chiesa non riesce a farlo». 

Il ruolo della famiglia, infine, è fondamentale all’inizio e poi scompare almeno nei racconti dei ragazzi. «Essa è importante come agenzia che socializza la religione come tradizione: chiesa, messa, catechismo». «Anche se al suo interno ci sono alcune figure come la madre e la nonna che sono particolarmente rilevanti nella prima formazione della fede dei giovani. Bisogna chiedersi chi socializzerà la religione nelle generazioni future». E questo meriterebbe una ricerca a parte.

Che fede emerge da quest’indagine, dunque? «Una fede che c’è ma che ha bisogno di crescere», afferma la professoressa Bichi, «o meglio: che sarebbe necessario far crescere. Come un germoglio che fa fatica a fiorire».

                                                                                                                                                                      



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