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Addio a Bruno Caracristi, custode de le arzàre dan bot

lun 11 apr 2022 13:04 • By: Alberto Mosca

Se n’è andato a 91 anni il creatore del museo etnografico di Mione di Rumo

RUMO. Se n’è andato a 91 anni Bruno Caracristi, figura la cui opera sopravvivrà per tanti motivi alla sua, pur lunga, esistenza. Originario di Vigolo Vattaro, maresciallo dei Carabinieri a riposo, fu per 20 anni comandante della stazione di Rumo, e poi, per dieci giudice conciliatore. Dopo il pensionamento, scelse di rimanere nella terra che l'aveva adottato, prendendo casa a Mione con la famiglia.

A Mione Bruno Caracristi ha realizzato "El vöut dale arzàre dan bòt", il sogno di una vita, il "suo" piccolo ma significativo museo etnografico che rende unico il paese di Mione, nella valle di Rumo. Il museo è diventato nel tempo un bene della comunità, un segno di attaccamento alla storia e alla vita passata e un gioiellino a disposizione dei turisti che amano questa incantata parte di Anaunia.

Ricordo con un po’ di commozione quell’incontro nato per raccontare ai lettori di NOS, nel 2015, quella avventura: all'ingresso dell'androne Caracristi ci accolse cordialmente, uscendo dal suo piccolo laboratorio dove aveva sempre qualcosa da fare e da aggiustare.

Due parole e faceva strada, verso il "vöut dale arzàre dan bòt", appunto.

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Aperta la porticina, il colpo d'occhio stupefacente: una stanza lunga e stretta foderata sui quattro lati da oggetti di ogni tipo, piccoli e grandi, divisi per arte e professione. Attrezzi agricoli e per la fienagione, per il taglio del legname e la vinificazione, di uso domestico e legati alla Grande Guerra: ognuno condivideva una età veneranda e l'amore con cui Caracristi li aveva raccolti in oltre un quarto di secolo, restaurati e contestualizzati, tanto che il vöut dale arzàre" venne riconosciuto e apprezzato dal papà di tutti i musei etnografici del Trentino, quello di San Michele.

Il museo venne inaugurato ufficialmente il 28 giugno 2014, pur essendo aperto da circa un paio d'anni prima. Un'impresa che vide Caracristi sostenuto e aiutato da alcuni compaesani e dall'amministrazione comunale, ben consci del valore culturale di questa realizzazione, costata anni e fatica.

Ricordo che Bruno a un certo punto prese in mano una porta cote (da noi cozàr, o codàr), il contenitore in legno o in corno di bue della cote, la pietra con la quale si affilava la lama della falce. Mostrandomela, raccontò:

"Da ragazzo, quando andavamo a falciare i prati, la cote continuava a muoversi nella portacote, dando fastidio. Allora, io e alcuni compagni di lavoro, riempimmo la porta cote con qualche ciuffo d'erba, in modo da renderla stabile. Una mattina un vecchio del paese vide l'erba nella portacote e ci sgridò, bollando come un esecrabile spreco l'uso dell'erba che doveva nutrire gli animali da stalla per il nostro porta cote; questo era il segno della povertà di quegli anni, ma anche del grande rispetto che si portava verso ogni risorsa naturale. Una lezione che dovremmo ricordare anche oggi".

Il viaggio in cui, oggetto per oggetto, Caracristi ci guidò, terminò davanti al libro per gli ospiti, che recava fresche le firme dei bambini di una scuola di Proves e un oggetto misterioso. Segno e ammonimento a proseguire nella ricerca, a non fermarsi mai, andando a scoprire, per dirla con un certo Bepo Sebesta, "anche le cose più insignificanti". Che poi lo sono solo in apparenza.

Addio Bruno, testimone del tempo, costruttore di memoria.



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