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Eser cròt o eser en crót?

mar 16 ago 2022 10:08 • By: Laura Abram

Quando le parole hanno più significati

Il fascino delle parole sta nella loro capacità di essere polisemiche, ossia avere più significati, anche molto diversi tra loro, che si intendono grazie al contesto. Pensiamo ad esempio all’italiano “piano”, che può indicare: un elemento orizzontale (il piano della cucina), uno strumento musicale, il livello della casa (“Abito al secondo piano”), un progetto (“Ho un piano in mente”) e infine può essere un avverbio, contrario di “velocemente”, o un aggettivo, contrario di “ripido”.

In noneso la parola crot, pur con una lieve variazione d’accento tra una ò aperta e una ó chiusa, porta più significati molto distanti tra loro.

Il crót, con la ó chiusa come quella dell’italiano “monte”, è in alcune rare zone dell’alta Val di Non, come per esempio Ruffré, il rospo. È molto facile dedurre l’origine di questo termine, vista la vicinanza di questa zona della valle con il tedescofono Alto Adige. In tedesco, infatti, rospo si dice Kröte. Anche se dalla grande maggioranza dei nonesi questo anfibio viene chiamato zavàt/ciavàt oppure rósch/ròsp, non va trascurata la presenza di aree con varianti minoritarie, che creano la ricchezza dei nostri dialetti.

Cròt con la ò aperta, come quella di “poco”, invece, può essere un sostantivo oppure un aggettivo. Come sostantivo indica uno scaffale o una scansìa, ma risulta ormai quasi scomparso.

Come aggettivo indica la condizione di chi è di cattivo umore, avvilito, malaticcio e può essere reso anche come gròt e gròtol. Entrambe le versioni derivano dal latino “aegrotus”, ammalato, ed hanno un corrispettivo italiano che, per quanto simile, non si origina dallo stesso etimo.

Anche la versione italiana è una parola polisemica, conosciuta molto di più per gli altri significati che ha: crocchio. Leggendo questa parola molti di noi penseranno a “scricchiolio” o “suono di oggetti di vetro o coccio incrinati” oppure a “gruppo di persone riunite per chiacchierare tra loro o per ascoltare qualcuno”. Esiste, però, un terzo significato, ormai raro e desueto, ed è proprio quello di “malaticcio, cagionevole”, forse legato per similitudine alla condizione dei vasi incrinati che crocchiano.

Con lo stesso significato abbiamo in noneso e in solandro anche un’altra interessante parola: marót o maródech, derivata probabilmente dal tedesco di caserma “maród”, come attestato dal dizionario di Enrico Quaresima.

 



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