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Ratzinger, il papa timido con una grande cultura

mer 04 gen 2023 10:01 • By: Renato Pellegrini

Fine e colto, non è stato un uomo di governo. Eppure sapeva bene come sarebbe cambiata la Chiesa

Sarà la storia a tracciare il profilo di Joseph Ratzinger, un uomo di grandissima cultura, un papa timido e sicuramente conservatore. Con ciò non voglio schierarmi a giudicare il suo operato in un tempo di passaggio della Chiesa cattolica, difficile e disseminato di scandali.

Se è vero che in qualche modo nell’elezione di un pontefice c’entra anche lo Spirito Santo, papa Benedetto entra a pieno titolo in un progetto di Dio di non facile comprensione. Lo stesso vale ora per Francesco. È stato il mio papa. Lo ho ascoltato e rispettato. Come oggi faccio con Francesco.

Mauriac scrisse che «L’individuo più singolare è solo il momento di una razza». E il papa non potrà essere altro che un momento nella storia millenaria della Chiesa. Ratzinger fu un intellettuale e un professore di teologia brillante. Presente al Concilio Vaticano II, ha subito messo in evidenza il suo spessore di teologo, la sua visione della Chiesa, una visione aperta e sorretta dalla speranza. Le cose cambiarono, e molto, in particolare a partire dal 1968. Poi Giovanni Paolo II lo nominò prefetto della Congregazione per la dottrina della fede; divenne inflessibile nella difesa dell’unità della Chiesa e dell’integrità della fede. E non pochi teologi pagarono duramente le loro visioni, i loro studi non in linea con la tradizione. Bisogna tuttavia riconoscere la grandezza di questo papa nell’atto delle dimissioni, quando si rese conto di non essere più in grado di guidare la barca di Pietro. Un gesto coraggioso che molti non gli hanno perdonato.

Avrebbe dovuto continuare anche in condizioni di grave infermità e debolezza sull’esempio di Karol Woytila, al quale successe quasi “naturalmente”. Chi avrebbero dovuto scegliere i cardinali, creati per la quasi totalità da Giovanni Paolo II, riuniti nel conclave del 2005 se non una persona che era stato il suo più vicino collaboratore per una ventina d’anni? E avrebbe potuto Ratzinger dare al proprio pontificato una linea diversa da quella del suo predecessore ora innalzato all’onore degli altari?

Egli conosceva la situazione della Chiesa, sapeva degli scandali che erano presenti in essa.

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Non so quanti ricordano la via Crucis del 25 marzo 2005 al Colosseo e le sue parole in quel momento: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!” Una settimana dopo moriva Giovanni Paolo II e il 19 aprile, Joseph Ratzinger gli succedeva con il nome di Benedetto XVI. Otto anni dopo si è ritirato, anche per non aver saputo togliere quella «sporcizia» e ripulire la Chiesa. Contrariamente a Giovanni Paolo II lui aveva percepito la vastità dello scandalo, il terreno che franava sotto la costruzione della Chiesa.

Quest’uomo, fine e colto, non è stato un uomo di governo. Eppure sapeva bene come sarebbe cambiata la Chiesa. Lo profetizzò già nel 1969: “Dalla Chiesa di oggi emergerà una Chiesa ridimensionata, con molti meno seguaci, costretta ad abbandonare anche buona parte dei luoghi di culto costruiti nei secoli. Una Chiesa cattolica di minoranza, poco influente nella scelte politiche, socialmente irrilevante, umiliata e costretta a “ripartire dalle origini”... E dato che il numero dei suoi fedeli diminuirà, essa perderà anche una gran parte dei suoi privilegi sociali… Ma nonostante tutti quei cambiamenti che si possono presumere, la Chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale, ciò che è sempre stato il suo centro: la fede in Dio (…). Risorgerà attraverso piccoli gruppi, attraverso i movimenti e una minoranza che rimetterà la fede e la preghiera al centro della loro vita (…). Sarà una Chiesa più spirituale che non si arrogherà un mandato politico (…). Infatti il processo della cristallizzazione e della chiarificazione la renderà povera, la farà diventare una Chiesa dei piccoli. Il processo sarà lungo e doloroso… ma dopo la prova delle sue divisioni, da una Chiesa interiorizzata e semplificata uscirà una grande forza. Gli uomini che vivranno in un mondo totalmente programmato vivranno una solitudine indicibile (…). E scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di completamente nuovo. Lo scopriranno come (…) la risposta che avevano sempre cercato in segreto… Mi sembra certo che si stanno preparando tempi molto difficili per la Chiesa. La sua vera crisi è appena cominciata. Essa deve fare i conti con grandi sconvolgimenti. Ma sono anche assolutamente sicuro di ciò che resterà alla fine: non la Chiesa del culto politico, ma la Chiesa della fede. Certo non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, in cui trovare vita e speranza al di là della morte”. E aveva anche detto che “La Chiesa scoprirà nuove forme di ministero, e ordinerà al presbiterato dei cristiani adatti, e che possono esercitare una professione”.

Voglio terminare ricordando quanto Ratzinger disse il 18 aprile 2005, durante l'omelia tenuta nella Basilica di San Pietro in quanto decano del Collegio cardinalizio: «Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. L'unica cosa che rimane in eterno è l'anima umana, l'uomo creato da Dio per l'eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l'amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre l'anima alla gioia del Signore».

Sono parole bellissime nelle quali ancora adesso si intravede il palpito del suo cuore. E io penso che Joseph Ratzinger, con il suo pensiero e la sua vita, ci abbia indicato da vero maestro il primato dell'anima e della spiritualità. 



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