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Cles, gli ultimi giorni di guerra

mar 25 apr 2023 08:04 • By: Alberto Mosca

In occasione della Festa della Liberazione, uno sguardo sui fatti dell'aprile-maggio 1945

CLES. Firmato da un anonimo “uomo della strada”, datato 17 febbraio 1944, un documento clesiano, pubblicato nel volume Cles: natura, storia, arte (2021) offre una lettura storica e politica degli anni dell’annessione all’Italia nel 1920 fino all’avvento del Fascismo e agli ultimi anni della Seconda guerra mondiale: “Appagati i voti di coloro che si dolevano del dominio austriaco, l’Italia non seppe dare ai suoi figli ordine, pace, lavoro e pane”. Il ricordo va così all’ascesa di un partito “violento e reazionario”, fino alle guerre in Africa, Spagna, e infine “in quella attuale”.

Duro e circostanziato è il giudizio dato sull’operato del regime: “Il fascismo attraverso l’istituzione dei Podestà per l’amministrazione dei comuni ha rovinato completamente gli stessi. Vi sono stati quasi 20 anni di sperperi e mangerie, specie quando il Podestà era persona estranea e gerarca del partito, qui mandato non per fare gli interessi del comune, ma i propri. A onor del vero è necessario riconoscere che a Cles ad eccezione dei Podestà Peccol e Piccoli, gli altri (Guido Lorenzoni, Mario Lorenzoni, Giovanni de Maffei, Eugenio Taddei, ndr) hanno tutelato gli interessi del Comune”.

Per quanto riguardava l’atteggiamento del regime verso il dissenso, si precisava che a Cles non vi furono “fatti di sangue, nessuna violenza bruta”. Tuttavia vennero condannati al confino, su denuncia dell’Ovra, la polizia politica, e deportati alla fine del 1941 l’ing. Giuseppe Ruatti (colonia di lavori forzati di Pisticci), il sarto Guido Tomazzolli (Pisticci) e Giuseppe Pancheri “Olian” (Avezzano). Carcerati a Trento furono poi Delfino Parisi fu Mattia, Dario Gabos di Basilio, Ferdinando Meneguzzer fu Luigi, Guglielmo Toller, venendo rilasciati tra la fine del 1942 e all’indomani della caduta del regime. Inoltre, Delfino e Carlo Parisi, Enrico Clauser, l’oste Adriano Fellin e Ottavio Quaresima subirono l’arresto, denunciati per aver gettato, il 26 luglio 1943, dalla finestra simboli fascisti dalla locale sede.  

Un “colossale inganno” cui seguirono i fatti seguiti all’armistizio dell’8 settembre 1943, in cui il governo Badoglio “non seppe fare la pace”, con l’Italia occupata dalle forze tedesche.  

Gli ultimi giorni di guerra: per quanto riguardava il Trentino, per il nostro autore tutto era “calmo e tranquillo e le autorità germaniche dimostrano la più grande comprensione”; a Cles stazionava la Gendarmeria germanica, con due elementi, “corretti e cortesi”. Un giudizio positivo che non toglieva il desiderio della fine dell’occupazione e della guerra.

Andando a vedere da vicino i fatti occorsi negli anni della guerra, altre fonti archivistiche descrivono un quadro in cui, al di là degli uomini al fronte, trascorsero senza particolari difficoltà, se non negli ultimi due anni, quelli successivi all’armistizio dell’8 settembre 1943, quando anche le valli del Noce vennero occupate dalle forze tedesche e la provincia annessa al Reich all’interno dell’Alpenvorland, la Zona di Operazione delle Prealpi che comprendeva le province di Trento, Bolzano e Belluno, sotto il comando del gauleiter Franz Hofer.

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Negli stessi anni, tra la fine del 1943 e il 1945 commissario prefettizio del comune era Arturo Piechele.

Nelle valli del Noce la situazione si mantenne relativamente pacifica fino all’estate del 1944, come mostra il costante, seppure difficoltoso, funzionamento delle scuole e delle attività economiche. Viva era una attività di protezione e occultamento di soldati alleati sfuggiti alla prigionia, che vennero ospitati anche nella canonica di Cles in attesa di passare in Svizzera dai valichi alpini raggiunti dalla Val di Sole. Dal punto di vista di una organizzata attività di Resistenza, i primi nuclei partigiani in Val di Non, di impronta comunista, vennero formati tra il febbraio e l’aprile 1944, in collegamento con il Comitato di Liberazione Nazionale di Trento, che aveva una sede clandestina a Cles e da cui dipendeva il “Gappista” Manci formato nel marzo 1944 da alcuni renitenti alla leva rifugiatisi in montagna.

A Cles fu particolarmente significativa l’esperienza dell’Armata bianca, gruppo armato partigiano di ispirazione cattolica autonomo rispetto ad altre formazioni, ma pure, dal punto di vista politico-programmatico, avverso ad esse. L’Armata bianca nacque in occasione di una riunione organizzata dall’Azione Cattolica a Cles nell’estate del 1944: sotto l’apparenza di un gruppo di studi sociali denominato “crociata bianca”, con l’appoggio di sacerdoti e intellettuali, ebbe inizio una propaganda capillare che portò a raccogliere verso la fine del conflitto in vari paesi della Val di Non fino a centocinquanta persone che formarono una squadra armata. Gli scopi che il movimento dichiarava nel suo programma erano: lo stimolo nei Trentini di una reazione al nazifascismo, considerato come forma di paganesimo; il consenso ampio della popolazione per l’insurrezione finale; la difesa armata dei paesi, non solo dai tedeschi in ritirata ma anche dalle altre formazioni partigiane. I partigiani cattolici della Val di Non avvertivano particolarmente il pericolo che gli altri gruppi diffondessero tra la popolazione una capillare propaganda politica con lo scopo di acquistare meriti e legittimità politica per il futuro. L’organizzazione cattolica per opera del cappellano di Taio don Demarchi pubblicava per questo il foglio clandestino Democrazia per controbilanciare il periodico clandestino comunista Il Proletario.

In realtà le squadre bianche della Val di Non, che si impegnavano a conservare l’ordine pubblico e a riorganizzare l’amministrazione comunale dei paesi nel momento critico della transizione, ottennero il riconoscimento politico da parte della Democrazia cristiana solo pochi giorni prima del 25 aprile 1945, giacché fino ad allora il partito, guidato dai vecchi popolari, aveva per lo più tergiversato per motivi di prudenza.

Le squadre di Romallo, Cles, Tassullo, Taio e Mezzolombardo risultavano in una relazione di data 27 aprile 1945 “ben organizzate in un piano strategico” che doveva far franare la Rocchetta in modo da ostruire l’accesso alla Val di Non dalla Piana Rotaliana; i tempi però erano ormai maturi per la ritirata tedesca. L’esperienza dell’Armata bianca con la sua forte connotazione politica attaccata più alla patria locale che non a una nazionale, fu terreno di sviluppo per manifestazioni autonomistiche e in qualche caso separatiste nell’immediato Dopoguerra, mostrando in modo embrionale e anticipando specifiche tendenze politico-culturali che trovarono negli anni successivi ulteriori sviluppi.

Nella Borgata di Cles, da ricordare è il mitragliamento aereo della stazione del treno avvenuto alla fine del gennaio 1945; ma soprattutto, veri e propri episodi di guerra urbana si ebbero nell’aprile-maggio 1945, ben testimoniati ancora una volta dai registri parrocchiali, con 7 morti ammazzati in conflitti a fuoco. Il primo di cui abbiamo memoria è il francese Jules Delaire, 39 anni, sottufficiale della Gendarmerie morto nel locale ospedale il 16 aprile 1945, accoltellato al collo.

Gli altri episodi si ebbero nel corso di maggio, pressoché a guerra finita: alle 14 del 2 maggio infatti il comando germanico aveva ordinato la cessazione delle ostilità e due ore dopo venne l’annunzio della capitolazione, a firma del generale Heinrich von Vietinghoff, comandante il fronte sud dal quartiere generale di Bolzano; con il 3 maggio iniziò la ritirata generale.

Il 4 maggio troviamo Kurt Hahn, 36 anni, originario di Amburgo, probabilmente un soldato tedesco; il successivo 6 maggio Giacomo Dusci, originario di Catanzaro, 21 anni; il 10 maggio Francesco Leita, falegname di 27 anni, tutti morti all’ospedale clesiano per “ferita da arma da fuoco”.

Successivamente, il 29 maggio sempre all’ospedale morì Enrico Menicaldi, di Reggello, 29 anni, “reduce dalla Germania”; il colpo mortale gli venne sparato, probabilmente qualche settimana prima, “dai Tedeschi che lo ritennero assieme ad altri un partigiano (ribelle) nei pressi di Dermulo”. Il riferimento è ai fatti accaduti tra la fine di aprile e i primi di maggio 1945, quando un attacco partigiano al deposito della Wehrmacht che i soldati tedeschi stavano smantellando dopo la fine delle operazioni belliche fece 11 vittime. 

A Bolzano, dove era residente, morì il carpentiere Arturo Pontalti, 36 anni, originario di Cles, ucciso nel corso rastrellamento nazista del 3 maggio 1945 condotto nella zona industriale, nei pressi della ex Lancia, oggi Iveco, che fece 11 morti e 19 feriti.

Infine, è forse da collegare a regolamenti di conti dopo la guerra l’assassinio, avvenuto il 7 settembre 1945, del partigiano Giuseppe Pisetta, 32 anni, ucciso da colpi di arma da fuoco.

Pisetta era nato a Cles il 3 febbraio 1923 da Francesco e Luigia Noldin; militò nella Battaglione “G.Manci” della Brigata Garibaldi “La Pasubiana” dall’8 ottobre 1944 al 10 maggio 1945. Il 28 luglio 1945 scrisse una lettera alla Commissione Provinciale Patrioti chiedendo gli venisse riconosciuta la qualifica di “patriota combattente”.

Ulteriori episodi di lotta partigiana, non possiamo dire ancora se legati ai precedenti, riguardarono l’uccisione di tre soldati tedeschi, i cui corpi vennero gettati nel vascone dell’acqua potabile; o quello di un giovane studente alla Boiara, accusato di essere una spia. Infine, nei pressi di San Vito, l’uccisione di un graduato tedesco, nonostante si fosse arreso e invocasse pietà, da parte di un certo partigiano L. Quest’ultimo episodio espose la Borgata al rischio della rappresaglia, scongiurata per l’intervento del parroco, don Malfatti. Lo stesso L. venne pochi giorni dopo ammazzato in un bar da tale B.



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