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Zigiàr come ‘n bègel

gio 08 ott 2020 18:10 • By: Laura Abram

Sappiamo davvero cosa significa questa espressione?

Le ricerche e le scoperte spesso nascono dai dubbi e dalle contraddizioni, dalla necessità di far luce su una situazione che ci appare poco comprensibile. Ed è proprio così che è andata tra me e il bègel. Un giorno un amico mi ha chiesto: “Cos’è il bègel? E quale attributo ha: salà, amàr, dur..?” In quel momento mi sono resa conto che l’unico contesto in cui avessi già sentito il termine bègel era una canzone dialettale nella quale il cantautore, parlando ironicamente di Don Chisciotte e Sancio Panza, attribuiva a quest’ultimo un naso da bevitore “semper rós come ‘n beghjel”.

Dopo una veloce controllata all’Atlante Linguistico ho risposto che questo bègel avrebbe dovuto essere una sorta di gufo, un rapace notturno. Ma quindi perché rós? E soprattutto perché tanti dicono “amàr come ‘n bègel”? Ho chiesto a vari amici e parenti dialettofoni e ho reperito, oltre ai due modi di dire che già conoscevo, anche le espressioni “zigiar come ‘n bègel”, “begelàr/sbeglàr” (sia nel senso di “belare” riferito a pecore e capre, sia di “urlare fastidiosamente”) e “begelòn” (persona che sbraita, che parla a vanvera).

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L’Atlante Linguistico riporta per la zona delle Valli di Non e Sole tre possibili versioni dialettali della parola gufo/allocco/barbagianni: güfo, chjauraröl e bègel, usate alternativamente per definire un rapace notturno non meglio specificato. Viene riportato inoltre, in nota, che il bègel grida durante la notte nei boschi e sulle montagne. A questo punto è il caso di approfondire l’origine di tutti questi termini. Il bègel sarebbe, secondo Enrico Quaresima, il gufo o l’allocco e il suo nome deriverebbe probabilmente dal verbo begelàr/ sbegelàr, belare, strillare. Il significato primario di questo verbo, originatosi dal latino belare, si è poi ampliato acquisendo il senso di strillare, riferibile sia a una persona, il begelón/ sbegelón ossia lo sbraitone, sia ad animali che emettono versi acuti e fastidiosi, come appunto i barbagianni e gli allocchi. Ecco perché si dice “zigiàr come ‘n bègel”! Entrambi questi uccelli, inoltre, possono avere un manto rossiccio, che giustifica il modo di dire “rós come ‘n bègel”.

Rimane più misteriosa l’espressione “amàr come ‘n bègel”, della quale mi ha dato un’ipotetica spiegazione un anziano signore. Egli ritiene che il verso notturno di questi uccelli, acuto e inquietante, incuta un senso di circospezione e timore, quasi di amarezza; e da qui, secondo lui, potrebbe derivare il detto. Il termine chjauraröl/ciüraröl, invece, tipico del dialetto di Rabbi, definisce sempre una sorta di uccello notturno e deriva dal latino caprarius con l’aggiunta del suffisso -iolo. Questo riferimento alle capre si ritrova anche nei vocaboli italiani utilizzati per definire tale uccello: “succiacapra” e “caprimulgo” (letteralmente “mungicapre”). Essi originano dalla credenza popolare che quest’uccello succhi le mammelle degli animali al pascolo, causandone la cecità. Caprimulgo a parte, si può dunque concludere che il bègel sia un rapace notturno, un allocco o forse un barbagianni, dal manto che tende al rossiccio e dal verso stridulo e fastidioso. Non ha nulla a che vedere con il verbo begiar, che declinato alla 2a persona singolare alla forma interrogativa diventa proprio “bègel?”. Begiar fonda la sua origine nel gotico *bega, lite, termine presente anche in italiano.  



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