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L’importanza della comunità nelle celebrazioni

dom 29 ott 2023 11:10 • By: Renato Pellegrini

Solo una persona su tre scegli e di andare a messa

In molti ormai conosceranno i recenti dati Istat sulla pratica religiosa in Italia, che riguardano il 2022. Continuano a diminuire coloro che partecipano alla messa con regolarità ogni domenica e festa. Se diamo un’occhiata agli ultimi vent’anni, cioè a partire dal 2001, ci accorgiamo che i cosiddetti “praticanti regolari” sono quasi dimezzati, passando dal 36% al 19%. Gli ultimi anni, complice la pandemia che ha accelerato molto questo processo, il numero è sceso del 25%. Questo vuol dire che negli ultimi tre anni una persona su quattro ha scelto di non andare più a messa in modo regolare. Si è probabilmente fatta avanti l’idea che non occorre la presenza in chiesa; per qualcuno basta seguire la messa alla televisione (e ne vengono trasmesse a ogni ora su tutti i canali), per altri recarsi in chiesa è diventato un modo obsoleto, di altri tempi, comunque non necessario. Eventualmente ci si va quando se ne sente il bisogno. Adolescenti e giovani, ma anche sempre più frequentemente i bambini, sono i grandi assenti.

Su Avvenire, il quotidiano della CEI, si è parlato di «addio alla messa». E allora, naturalmente, le realtà ecclesiali più vive si sono chieste cosa fare perché l’Eucaristia ritrovi la sua forza e la sua centralità.

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Ma, a mio modo di vedere, le risposte abbozzate non hanno nessuna incisività. Non serve affatto riscoprire letture appassionate dei Padri della Chiesa o edificanti meditazioni bibliche, o indicare percorsi per una formazione liturgica approfondita.

Sono fermamente convinto che più che affermare la necessità di tornare a messa, perché è «culmen et fons» (culmine e fonte) secondo l’espressione della Sacrosantum Concilium, occorra chiedersi chi è il soggetto, chi celebra l’Eucaristia e come si celebra. Lo so che qui è facile equivocare, pensando che a celebrare la messa, la presenza più importante sia quella del prete. L’anima della liturgia è però la comunità credente. «Alla radice dell’attuale problema della liturgia c’è l’agonia delle comunità cristiane». (Goffredo Boselli, monaco e liturgista su Vita Pastorale n.10/2023) Se non ci sono quasi più comunità convinte, se l’incontrarsi non ha più un grande valore, la liturgia perde il suo senso, la forza d’attrazione. Une celebrazione ben fatta rivela una comunità viva, capace di affrontare le sfide del tempo, così come una celebrazione veloce, distratta, senza entusiasmo dimostra la salute precaria della comunità. Chiediamoci: chi ci incontra a pregare e a celebrare? Chi sa che il Signore agisce sempre in mezzo al suo popolo; il popolo vede ciò che il Signore compie e «confessa la sua fede in lui attraverso dei riti che esprimono ringraziamento, lode, benedizione…» (Goffredo Boselli, cit.)

Nella Bibbia appare molto chiaramente che non sono singoli credenti che riconoscono l’azione di Dio e poi la celebrano; è sempre il popolo, una comunità dunque, che si raduna e attraverso i riti loda Dio. «Nell’ultima cena Gesù ha spezzato il pane e consegnato il calice del vino alla comunità dei discepoli che ha condiviso un’intensa comunione di vita e non a un’anonima folla di singoli intenti ad assolvere un atto di culto» (G. Boselli). Nelle nostre realtà è forse necessario partire o ripartire dalla costruzione di nuove comunità credenti, comunità attive, che sanno guardare in modo nuovo alla esperienza di fede, che si impegnano a rendere belle e gioiose le celebrazioni. Qualche giorno fa alcune persone, giovani e impegnate all’interno delle parrocchie, mi hanno presentato con insistenza la loro convinzione: le nostre celebrazioni possono tornare ad essere significative se sapranno trasmettere la gioia dell’incontro e la bellezza del pregare insieme. Una volta si diceva: meno messe e più messa!



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