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Class action per i danni da orso

mar 16 gen 2024 11:01 • Dalla redazione

A rilanciare l’idea Geremia Gios durante il convegno sui grandi carnivori di Dimaro

DIMARO FOLGARIDA – «L’errore di fondo del progetto di reintroduzione dell’orso e del non controllo della crescita esponenziale del lupo sta proprio nell’aver dimenticato la lezione che veniva dal passato e che era sotto gli occhi di tutti. Di per sé la “Natura” è al tempo stesso buona e cattiva, fonte di risorse ma anche di pericoli». A dirlo, durante il convegno organizzato a Dimaro Folgarida, sul tema dei grandi carnivoridal Comitato Insieme per Andrea Papi, è Geremia Gios, professore ordinario di Economia e Agraria dell’Università di Trento, che ha poi evidenziato: «L’uomo può modificare la natura, oggi molto più rapidamente e in maniera più invasiva di un tempo, ma tali modifiche possono tornare sia a suo vantaggio che a suo svantaggio. Si dice che bisogna investire in comunicazione, come se spiegare con dotte citazioni chi è l’orso ne riducesse automaticamente l’intrinseca pericolosità. Non si tratta di investire in comunicazione, ma in conoscenza. È necessario partire dalla realtà non dalla rappresentazione della medesima che fa comodo in quel momento.

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Non è possibile conservare senza gestire e non è possibile gestire senza la partecipazione attiva delle popolazioni locali». E ancora: «Avere l’orso non significa più biodiversità. Anzi, se la montagna viene abbandonata e il pascolo non è più curato si va perdendo biodiversità». Gios, quindi, ha aggiunto: «La presenza degli orsi rende più difficile la vita in montagna. Ciò significa maggiori costi. Non capisco perché questi costi li devono sopportare chi abita in montagna e non chi vuole lupi e orsi. Se le Asuc, le Consortele e i proprietari di bosco si metteranno insieme e inizieranno a promuovere delle cause per chiedere i danni anche di tipo esistenziale allora forse, quando si inizierà a pagare, si potrà ragionare in maniera diversa». 

Dopodiché Luca Battaglini, ordinario di Scienze e Tecnologie animali presso il Dipartimento di Scienze agrarie forestali e alimentari (DISAFA) dell'Università degli Studi di Torino, ha affermato come l’obiettivo debba essere quello di affrontare il dibattito in modo «completo» ascoltando e dando voce a «tutti» e ha ribadito la necessità di arrivare a un maggior ruolo degli organi governativi al fine di una appropriata gestione della criticità, a un’adeguata considerazione degli aspetti socioeconomici e della grave sofferenza di un settore agricolo di grande valenza ecosistemica, a una gestione pragmatica basata su dati scientifici realistici e aggiornati e a una maggiore autonomia delle singole amministrazioni.

Ha chiuso la sequenza dei relatori l’antropologo Annibale Salsa, che ha parlato di demonizzazione dell’uomo e sacralizzazione dei grandi carnivori: «Siamo in presenza di un nuovo rito e nuovi riti che hanno seguaci soprattutto nelle aree cittadine: i più grandi sostenitori della mitizzazione dei grandi carnivori e di una natura con la “N” maiuscola sono coloro i quali hanno una concezione che si costruisce in modo urbano-centrico. Ma la percezione di chi vive nelle periferie della città non è la stessa di chi vive in montagna. Si arriva a creare il dogma intoccabile del grande predatore, ma la montagna reale non ha niente a che spartire con la montagna ideale, con la montagna enfatizzata e romanticizzata dalla cultura cittadina».

 



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