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Festa della donna: verso la pienezza dell'umanità

dom 10 mar 2024 08:03 • By: Renato Pellegrini

Una riflessione sulla donna, dal testo biblico alla piazza del mercato di Trento di un secolo fa

A un primo sguardo parrebbe che ci sia poco da festeggiare. Anche se a ogni donna che viene uccisa gridiamo con rabbia e convinzione: “mai più!” i femminicidi continuano e il cammino verso una reale parità di genere sembra ancora lungo. A chi fosse interessato, segnalo un articolo apparso su Il nuovo Trentino.it che racconta delle donne che a Trento, in piazza Duomo, all’inizio del Novecento venivano reclutate per andare per andare a lavorare:

“… Si radunavano sotto un tiglio nella piazza del Duomo, dove nei giorni festivi si recavano coloro che cercavano lavoranti agricoli ed in cui venivano scelte e mercanteggiate nello stesso modo come se si trattasse di bestie. Il compratore, per così dire, gira tra i crocchi, guarda, osserva attentamente (…) L’esame è minuzioso e si estende spesso fino ad opportuni palpamenti per accertarsi che le braccia siano abbastanza grosse ed i muscoli diano sufficiente affidamento di vigore.” (Così P. Vecellio, Il fenomeno migratorio nel bellunese alla fine del secolo scorso, Belluno 1984, p. 49.)

Si dirà che di strada se n’è fatta un bel po’. Ma molta ne rimane da fare. Per certi versi la parità è quasi un miraggio. Ce se ne può rendere conto guardando alla formazione della giunta regionale. Se c’è qualcuno che deve fare un passo indietro, quel qualcuno è sempre una donna.                                                                                                                                      E nel giorno dell’otto marzo, ho voluto riflettere sulla condizione della donna nella Bibbia. Sia ben chiaro che sono cosciente che in quelle pagine si respira un’aria maschilista o, per dirla con un altro termine oggi purtroppo e tragicamente tornato di moda, “patriarcale”.  

L’Antico Testamento, nel libro della Genesi, il primo libro della Bibbia, racconta la storia di una sfilata di patriarchi: Abramo, Isacco, Giacobbe ecc. È giusto notare, però, che accanto a loro, in quelle pagine si racconta di molte donne, che con la loro vita, le loro scelte e le loro azioni hanno saputo colorare di vivacità, bellezza e giustizia la famiglia e il mondo in cui vivevano.

Graziadei maggio

Ne cito alcune: Sara, Agar, Rachele, Lia e, più avanti, Miriam, Debora, Anna, Giuditta, Ester, la Sulammita, protagonista del Cantico dei cantici e così via. Per non parlare, poi, del Nuovo Testamento: Marta e Maria, La Maddalena, la donna Siro-fenicia, la donna che versa il suo profumo suo Gesù, l’adultera, la samaritana al pozzo… e naturalmente Maria, la madre di Gesù. Figure di donna sempre positive, che creano futuro, sono consolate e consolano, danno speranza. A leggerla correttamente la Bibbia non è antifemminista, anche se magari in questo modo è stata interpretata anche dalla Chiesa.                                                        

Quando Dio crea l’uomo, appare prima di tutto quello che in ebraico è detto ha’ adam che significa l’uomo, letteralmente «colui che ha il colore rossastro dell’argilla» per mettere in chiaro che è parte della terra, dell’argilla, simbolo della materialità. Per l’autore ciò che davvero importa nella creazione dell’uomo, è la relazione con Dio, con la terra e con un suo pari. Non basta la relazione con Dio e con la terra, occorre un altro volto umano. «Il Creatore comprende questa esigenza: «Non è bene che l’uomo sia solo; voglio fargli un aiuto kenegdô» (Gen. 2,18), un «aiuto» vivo e personale, un alleato nel quale possa fissare gli occhi negli occhi, anche in un dialogo silenzioso, trasferendo nell’altro il suo pensiero, i sentimenti, il riso e le sue lacrime» (G. Ravasi).

Allora Dio compie un atto che fa della donna un essere inferiore, secondo una lettura un po’ superficiale. Da una costola dell’uomo crea la donna. In realtà, spiegano i biblisti, il termine ebraico “selà”, tradotto con costola, significa prima di tutto “lato”. È con questo simbolo che si esalta la parità sostanziale tra i due. Ha ‘adam lo capisce ed esplode in un canto d’amore intensissimo: ««Finalmente essa è osso delle mie ossa, carne della mia carne!» (Gen. 2,23). 

Sempre Gianfranco Ravasi ci aiuta a capire la bellezza di questi passaggi: «La corporeità per la Bibbia è strutturale e ha una compattezza psico-fisica: si ribadisce così l’unità profonda tra i due che sono «un’unica carne» (Gen.  2,24), pur nella diversità dei sessi. Infatti, l’originale ebraico con un gioco di parole definisce i nomi dei due in modo folgorante, lui è ’ish, «uomo», e lei è ’isshah, «donna»: il vocabolo è identico, segnato solo dalla desinenza finale del genere. Anzi, come ribadisce la Genesi, a differenza della successiva tradizione giudaica e persino popolare, «Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò» (1,27). La rappresentazione autentica divina non è nel solo uomo, ma nella coppia che si ama e genera, imitando il Creatore».

C’è un testo giudaico, con il quale vorrei concludere, che oltre a dire la dignità della donna, è un monito anche per l’oggi: «State molto attenti a non far piangere una donna perché Dio conta le sue lacrime. La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai piedi per essere calpestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale. Un po’ più in basso del braccio per essere protetta e dal lato del cuore per essere amata».  

                                                                                                       

                                                              

 

 

 



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