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I falsi miti della grandine

lun 31 lug 2023 09:07 • By: Giacomo Poletti

Le recenti grandinate, con chicchi da record, riportano in auge il tema del cambiamento climatico

Le straordinarie grandinate della scorsa settimana sulla pianura padano/veneta - con il “chicco”, se così vogliamo chiamarlo, di ben 19 centimetri caduto a Decimo d’Azzano in Friuli, nuovo record europeo, e 4 giorni di fila con grandinate oltre i 10 centimetri di diametro segnalate fra Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Friuli – hanno riportato in auge lo spauracchio della grandine, il fenomeno più distruttivo e temuto da tutti, preoccupati ad esempio per auto, pannelli solari, animali domestici, orti e campagne.

In questo articolo vedremo quindi perché e come si forma la grandine, sfatando anche alcuni “falsi miti” rilanciati impropriamente sui social. La grandine, come sappiamo, arriva con i temporali. Il meccanismo di base necessita quindi di aria calda e umida, la quale sale verso l’alto quando si trova ad essere più leggera dell’aria circostante. Un fenomeno che vediamo spessissimo in estate pure nelle belle giornate, quando il sole scalda le rocce e i versanti, sopra i quali l’aria si scalda di conseguenza cominciando a salire fino a una quota tale da raffreddarsi a sufficienza per espansione, condensando e formando i classici cumuli pomeridiani sopra alle montagne. Quando il processo avviene con intensità o a lungo, ecco che le nubi convettive possono diventare molto alte, fino a trasformarsi in enormi cumulonembi alti ben 12.000 metri. Da loro nascono i temporali, definiti come una nube da cui si stacca un fulmine. Il primo concetto da comprendere, quindi, è che all’interno del temporale l’aria sale verso l’alto per via della sua minore densità. Salendo verso l’alto, essa trascina con sé le gocce d’acqua che, a una certa quota, ghiacciano. Ecco nato il chicco di grandine, che può ingrandirsi per due motivi.

Elektrodemo

Il primo è la presenza di acqua sopraffusa dentro la nube; acqua, cioè, che resta liquida a temperature sotto lo zero (capita quando l’acqua è quasi pura e le gocce molto piccole). In quei casi il chicco di grandine neonato, nel suo moto verso l’alto, può urtare le gocce sopraffuse facendole ghiacciare all’istante sulla propria superficie. Inoltre, il chicco di grandine, una volta giunto ad alte quote, per la minore spinta della corrente ridiscende fino a trovare di nuovo acqua liquida, ma anche correnti più decise. Il chicco così si bagna ma risale di nuovo righiacciando in un ciclo che può avvenire anche decine di volte in pochi minuti specie se lo zero termico è fra i 3000 e i 3500 metri (se “tagliaste” un chicco – operazione non facile, in effetti - notereste spesso degli strati di accrescimento simili a quelli di una cipolla).

È evidente come la forza della corrente ascensionale e il grado di umidità dell’aria nella nube siano fondamentali per determinare la grandezza dei chicchi. E sì, sostenere in aria chicchi da 15 centimetri o più è difficile, ma non impossibile e la cosa è spiegabile: basti pensare che in certi casi si possono sviluppare correnti verso l’alto superiori a 70 km/h. Nei giorni scorsi le particolari condizioni di caldo e umidità in tutti i primi 4/5000 metri di aria, dovuti al preesistente anticiclone africano, hanno fornito il “carburante” per la grandine grossa. Non dimentichiamo infatti i record assoluti di caldo avuti ad esempio ad Olbia (+47.0°) e a Roma Urbe (+40.9°) e con l’occasione sfatiamo pure un altro falso mito: faceva caldo anche in passato, certo, ma in meteorologia si usano i numeri apposta e i nuovi record assoluti parlano da soli, specie quando le serie di misura sono secolari.

Chiudiamo con due curiosità, ma se richiesto torneremo a parlare della grandine già nella prossima puntata. La prima: è vero che la grandine colpisce lungo delle “strisciate”? La risposta è: sì! Il temporale infatti si muove spinto dal vento in quota, che per brevi e medie distanze si può assumere come rettilineo. Ecco allora che il temporale “semina” i chicchi lungo delle strisce (o “bande”) in alcuni casi lunghe chilometri. Esattamente come un seminatore di fagioli, che lascia cadere i semi lungo una linea mentre cammina. In questi giorni turbolenti si è poi tornati a citare sui social i cannoni antigrandine (“ah, se ci fossero stati i cannoni!” dice qualcuno in video o post). Ma funzionano? La risposta in questo caso è un no forte e chiaro. I cannoni antigrandine infatti, secondo i sedicenti venditori e costruttori (anche se ormai chi li propone si conta davvero sulle dita di una mano, e questi “archibugi” sono ormai banditi quasi ovunque) sostiene che lo scoppio di una carica (da terra o su un piccolo razzo) dovrebbe “rompere” i chicchi di grandine nella nuvola oppure favorirne la caduta precoce per via di uno “scuotimento” preventivo dell’aria. Chi promuove i cannoni ha spesso buon gioco nel dire “ecco, ha funzionato!” dato che difficilmente un temporale fa grandinare ovunque ma, come visto, solo su strisce limitate che per probabilità di rado coinvolgono il cannone. Ma la forza d’urto prodotta dallo scoppio, in termini di pressione, è risibile già a poche decine di metri a confronto ad esempio con i ben più potenti tuoni dentro la nuvola. Una differenza di pressione enorme fra i due rumori (fino a 5/7 ordini di grandezza): eppure neanche i tuoni più forti riescono a scalfire i chicchi di grandine…

 



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