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E se scomparisse la parrocchia?

dom 28 apr 2024 11:04 • Dalla redazione

Come la Chiesa può rinnovarsi per riportare alla fede

Maggio, dalle nostre parti mese di sagre, di prime comunioni e di cresime. Mese, mi vien da dire, per chi osserva lo snodarsi della vita cristiana, che rivela il progressivo e costante allontanamento dei cristiani dalla fede.

Fino a qualche anno fa, forse con un po’ di supponenza, si pensava che i cristiani praticanti certamente diminuivano, ma resistevano bene i non praticanti o i “praticanti saltuari”. Era un modo quasi pietoso per consolarsi. Oggi sappiamo e possiamo verificare che non è così. Luca Diotallevi nel suo studio intitolato «La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019» (ed. Rubettino 2024) mette bene in evidenza che «i fenomeni di partecipazione presentano una tendenza chiaramente decrescente» (pag.24). In questa situazione il clero cattolico «diminuisce meno rapidamente del “popolo”», anche perché le autorità religiose «hanno prestato maggiore e più efficacie attenzione alla numerosità del clero che non a quella dei fedeli». «Chi abbandona la pratica regolare approda piuttosto rapidamente alla condizione di non praticante, dopo essere transitato più o meno velocemente per lo stadio intermedio della pratica saltuaria». (pag. 18). La frequenza femminile è diminuita più di quella maschile.

A questo punto possiamo chiederci: a cosa è dovuto un simile repentino calo della partecipazione ai riti religiosi? Diotallevi avanza qualche ipotesi senz’altro probabile. Anzitutto, scrive, «il fallimento o per lo meno lo stallo di politiche di riforma della offerta rituale intraprese nel corso del Novecento da praticamente tutti gli attori religiosi attivi (anche) in Italia». (pag.87) Si è rimasti fedeli a una tradizione ormai largamente sradicata dai cambiamenti che hanno investito la vita umana in ogni suo aspetto. La liturgia appare come un ricordo muto del passato.

Graziadei maggio

C’è chi afferma che la responsabilità di un simile crollo vada cercata nel periodo della pandemia e dei suoi lockdown, ma «al momento chiamarli in causa per il declino…. della pratica rituale, equivale a cercare alibi». È probabile che quel periodo così difficile abbia affrettato un processo che era già in atto. Non è certamente venuto in soccorso di questa crisi, «la progressiva spettacolarizzazione delle liturgie vaticane verificatesi nel corso degli ultimi tre pontificati». Non ha portato a un’inversione di tendenza nemmeno il crescente numero di trasmissioni locali tramite televisione o altri strumenti mediatici. Potrebbero anzi aver convinto qualcuno a lasciare la comunità, accontentandosi di seguire la messa o altri riti tramite TV o media nazionali o locali.

Armando Matteo è convinto che sia giunto il momento di abbandonare «una categoria che ha avuto molto peso nel passato per definire il destino della fede nel contesto occidentale: la categoria dei “credenti non praticanti”, categoria sparita per un motivo assolutamente ovvio: non sono più praticanti, ma non sono più nemmeno credenti». E «la domenica semplicemente vanno a fare jogging» dimenticandosi che è il giorno del Signore. «Oppure devotamente frequentano quei nuovi centri di culto, che sono le palestre». Sono diventati credenti dell’eterna giovinezza e «la loro etica si è convertita in cosmetica». Ci sono in tutte le parrocchie numerosissimo genitori che non si vedono mai alla messa festiva, né prima dell’inizio, né durante, né dopo la catechesi dei loro figli, che (e lo dico con amarezza e dispiacere) vengono accompagnati a ricevere la prima e l’ultima comunione e a dare un solenne e conosciuto addio alla vita cristiana con la cresima. Ma tutto prosegue come se nulla fosse cambiato e i parroci attendono con serena rassegnazione la fine di ogni culto. Come tentare una reazione? Ho scoperto un sito, (VinoNuovo.it) che, fra i vari lodevoli studi approfondisce proprio la crisi delle parrocchie e ne indica anche qualche possibile soluzione. Il 19 gennaio 2021 Sergio di Benedetto descrive con competenza alcune strade da percorrere. Prima di tutto: «il consiglio pastorale va totalmente ripensato: non solo come organo consultivo, ma capace anche di deliberare, magari riattivando così figure poste ai margini perché non disponibili a meri luoghi di consultazione». È un traguardo che ancora non si scorge, che non si vuole talvolta nemmeno prendere in considerazione. E poi «la liturgia deve essere una preoccupazione della comunità, evitando anche formalismi, anacronismi, linguaggi che non dicono nulla all’uomo contemporaneo se non nostalgie o mancanza di gusto estetico, quando non siano espressioni di nodi personali di altra portata».

Naturalmente per ogni passaggio ci sarà bisogno di cristiani ben formati, partecipi della vita della comunità in cui vivono. Sergio Di Benedetto dà tanti altri consigli su cui vale la pena riflettere. Invita, ad esempio, a pensare alla «riduzione del numero delle messe», soprattutto la domenica per renderle più curate, sostituendole talvolta con «dei brevi momenti di riflessione e preghiera sulla parola di Dio». Sono importanti «liturgie della parola più sintetiche, più semplici, che gradualmente conducano i fedeli meno formati ad accostarsi ai grandi misteri della vita cristiana e nella completezza il mistero eucaristico». E, si chiede, matrimoni e funerali vanno sempre inseriti nella celebrazione della messa? Come si vede c’è un lungo e non facile cammino da percorrere. Ed è su questa strada che la comunità parrocchiale potrà faticosamente rinascere.

 



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