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Andiamo per malghe

La filosofia della malga

ven 23 dic 2022 11:12 • By: Elena Gabardi

Una scelta di vita in controcorrente

Malga Bordolona si trova sopra il paese di Bresimo in val di Non, a 1.806 metri di altitudine, incastonato nello splendido gruppo delle Maddalene, che gli fanno da cornice. La natura è incontaminata e predominante, l’urbanizzazione non si vede nemmeno da lontano. Il nome deriva dall’antico termine “borda”, che indica la nebbia e quindi una zona spesso avvolta nelle nebbie, da cui emergono, come in un racconto di altri tempi, una bella malga e l’annesso agriturismo.

A gestirla da 7 anni è la famiglia Alessandri: Luca, la moglie Katia e 3 vispi figlioletti, dai 12 ai 2 anni.

Luca è anche il casaro, che lavora sul posto il latte appena munto per produrre burro, formaggi nostrani, ricotta e il tipico Casolét, utilizzati anche nella cucina dell’agriturismo.

Una laurea magistrale in filosofia e un master, infine la malga, un percorso davvero singolare.

«Ho studiato a Trento e poi a Venezia, ma parallelamente portavo avanti il lavoro in montagna. Avevo tanta voglia di imparare e a 23 anni ho cominciato a fare le stagioni in malga e lì ho imparato l’arte casearia. Nella filosofia c’è un filo conduttore nel rapporto uomo, natura e montagna. Il percorso di studi ha dato voce a quello che vivo quotidianamente aumentando la consapevolezza di dove sono e cosa sto facendo. Vivere in montagna è una magia e con l’esperienza in malga tutti gli anni impari qualcosa».

Una scelta impegnativa, forse anche di rinunce?

«Non è un lavoro facile, è bello e stimolante, ma sostenere la malga gli altri mesi 8 a valle non è facile, sia dal punto di vista economico che dell’impegno. Ho una stalla a Dovena e il Malghetto a Tuenno aperto tutto l’anno. È un lavoro faticoso, 365 giorni all’anno, soprattutto in malga sei messo alla prova quotidianamente. A 23 anni pensavo di fare la stagione estiva in malga e per il resto dell’anno viaggiare per il mondo, per un periodo l’ho fatto, ma già dopo un paio di anni ho dovuto fermarmi. Poter viaggiare mi affascina perché ti fa crescere e capire tante cose, quella è stata un po’ la rinuncia. Per proseguire con un’azienda è necessario lavorare tutto l’anno e fare corsi di formazione per diventare imprenditore agricolo. Adesso non mi pesa più, perché la scelta che ho fatto fa parte di un sogno, un desiderio forte di andare in malga, la relazione con la natura, il territorio e mantenere la tradizione dell’alpeggio. Senza malga smetterei di fare l’allevatore».

Sono tempi difficili per la zootecnia?

«Gli ultimi 2 anni sono stati molto faticosi dal punto di vista economico. Anche se c’è la volontà di preservare la tradizione da parte delle istituzioni, la tradizione è difficile da portare avanti, la semplicità di un formaggio che trasuda tradizione è difficile da produrre, in malga lavoro il latte crudo utilizzando il fuoco a legna e caldere in rame. La malga ha uno scopo per mantenere la tradizione, certamente, ma ha senso se c’è una zootecnia che segue la prospettiva della malga. C’è una difficoltà crescente a causa delle società che arrivano da fuori regione a gestire le malghe con contributi europei, è avvilente vedere che vanno in mano a realtà non interessate al territorio ma al business. Nel momento in cui l’allevamento si slega dal territorio necessita di molti più soldi, impegno e aiuti. Gestire la malga per denaro crea una discrepanza tra la gestione, l’arricchimento e la trasmissione della cultura. È diverso sapere che l’hai presa tu con il tuo sudore, con il tuo sacrificio e provi a trasmetterlo».

Offrite un ventaglio di opportunità per conoscere i prodotti della malga, cene ed eventi gourmet.

«Abbiamo in malga un cuoco romano, Riccardo, molto bravo e appassionato del suo lavoro, rimasto affascinato dal territorio trentino. Ricerca e sperimenta con le ricette e le materie prime, lavora con diversi chef stellati con cui abbiamo cominciato a fare delle collaborazioni. La cena in malga alta con Alfio Ghezzi è stata una magia, abbiamo coinvolto delle cantine vinicole e altri produttori locali, anche gli altri eventi sono stati molto apprezzati. Ho scoperto che gli chef hanno desiderio di avvicinarsi sempre più al territorio e proporre i prodotti locali, soprattutto i prodotti di malga, perché hanno sapori diversi più importanti e decisi. Nel sapore si trasmette la tradizione, è qualcosa di importante che emerge nel gusto dei prodotti, che è a sua volta più importante, gli chef lo sanno. Quando arrivano in malga e scendono dalla macchina, fanno un giro a 360°, inspirano, mi guardano e dicono “che posto!” È come se ci fosse una riproposta di questi gusti per dare forza alla tradizione, gli chef hanno il desiderio di istruire il nostro palato per uscire dall’omologazione dei sapori. Ho parecchi chef stellati che acquistano il burro di malga, addirittura in un ristorante stellato lo chef proponeva la semplice pasta in bianco con il burro di malga.

Una cosa che ho imparato da loro e mi piace portarla nel mio lavoro è l’approccio: quando vai nel ristorante stellato a mangiare ti comunicano un’esperienza, arricchita anche dal racconto, non deve essere solamente consumare cibo, questo è l’intento dello chef. Allo stesso modo la malga deve essere un’esperienza per chi la visita, in primo luogo è un’esperienza per il pastore e il gestore, che deve essere in grado di trasmetterla sia attraverso le pietanze che la relazione ed il racconto del territorio».



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