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Andiamo per malghe

Breve storia delle malghe

ven 23 dic 2022 10:12 • By: Alberto Mosca

Le domande più frequenti, per avvicinarci a un argomento tanto vasto e complesso quanto affascinante

La costruzione di Malga Flavona nel 1954

Parliamo di malghe, ma in un modo diverso dal solito. Procediamo per domande, sperando possano essere le più frequenti, per avvicinarci a un argomento tanto vasto e complesso quanto affascinante. Cos’è la malga?

Oggi questa parola indica il complesso di edifici di alloggio estivo, per bestiame e personale, e per la produzione lattiero-casearia che sorge su un pascolo. Ma in origine questa parola era riferita al bestiame: non a caso essa viene dalla radice indoeuropea *melg-, la stessa del latino mulgere, del greco amélgein e del germanico *melken, ossia “mungere”.

Quando le malghe vengono documentate per la prima volta?

Le prime attestazioni sono del XII secolo, ma spesso intese come “facere malgam”, ovvero radunare il bestiame per andare al pascolo, tant’è vero che la malga era dove si trovava la mandria, mentre solo successivamente il termine va a identificare una tipologia di struttura. Per esempio possiamo citare malga Movlina (anno 1155), contesa tra Rendena e il Bleggio con i primi che la vincono grazie a un campione che sconfigge a suon di botte quello avversario; poi il monte di Cles e Mechel nel 1185.

Il termine malga lo troviamo espressamente inteso in senso moderno più avanti: per esempio nel primo Quattrocento con la malga Lasté sul mont Aut di Brez; nel 1437 la malga di Coredo. Ancora, nel 1448 Prettele di Caldes affida a due fratelli di Magras un maso sul monte Cortinga per un censo annuo di 11 lire e 2 moggi di scandole, con l’obbligo di costruire un edificio di malga, la malga “del Mont” che ancora è ricordata nel 1786 e che oggi conosciamo come Mondent. La malga di Cles è ricordata nel 1498.

Quando nacquero le malghe?

Intorno all’XI secolo, il progressivo aumento demografico spinse le comunità rurali a spostare i pascoli in quota, facilitati in questo da un periodo caldo che rendeva agevole l’apertura di “fratte” e “cercene” in alta montagna.

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Termini questi che talvolta sono riferiti a malghe ancora oggi esistenti.

Quando si trovano documentati per la prima volta i prodotti della malga?

Fin dal XII-XIII secolo. Ma particolare ed estremamente specifico è per esempio un atto del 1490, riferito alla malga che la comunità di Ortisé aveva in Val di Rabbi, sul monte Tremenesca. Nell’occasione si citano espressamente i prodotti della loro malga, ovvero “caseo, butiro et povyna” e in particolare “quatuordecim casei, novem povynas de malga”, oltre all’attrezzatura data da una coppia di buoi, un carro con due ruote ferrate, giogo, finimenti, funi usate nel trasporto dei prodotti.

Quando le malghe appaiono per la prima volta nella cartografia e nella fotografia?

Possiamo dire che la malga appare sugli atlanti alla fine del Settecento: per esempio nella carta disegnata da Joseph Sperges e nel celebre Atlas Tirolensis di Peter Anich e Blasius Huber, opera del 1774. Quest’ultimo segnala per esempio in Val di Rabbi una “malga di pegore” (Saent), e una “malga grande” (Maleda) ma anche Fassa, Villar, Zerzen, Tremenesca, Gams Eck (Campo secco), e altre sono segnate ma senza indicazione di nome. In Val di Non, si trovano a Bresimo una “malgazza”, e quelle di Cles, Romeno, Coredo e altre. Dal punto di vista fotografico, le prime attestazioni sono di fine Ottocento, primo Novecento.

Come funzionava la malga?

La centralità della malga nell’economia delle comunità le rendeva luoghi governati da una gerarchia legata a precise responsabilità. Nelle carte di regola delle comunità appare la figura del “giut” (o massaro di malga) responsabile della malga che doveva organizzare e controllare il lavoro dei pastori e del casaro; gestire il sale e il caglio; procurare il pane a tutti coloro che avessero del bestiame, contare tutti i capi che andavano alla malga; dare la licenza per l’affitto dei pascoli appartenenti alla malga. Ogni anno era obbligato a presentarsi alle assemblee regolari per ordinare la chiusura delle malghe. Nel caso fossero nati dissidi riguardanti la gestione della malga, il “giut” era tenuto a convocare la regola e discutere collettivamente la paga dei pastori e del casaro. Il “vaccaro” era invece addetto al controllo dei bovini. Il casaro della malga era obbligato a numerare il bestiame due volte al giorno e ne era responsabile in caso di smarrimento; era aiutato dal “malghelin”, che riforniva la legna e puliva accuratamente tutto. In fondo alla scala vi era lo “sboacìn”, il cui ruolo non è difficile da intuire…

Le malghe venivano affittate nei secoli passati? Solo a gente del posto o anche a forestieri?

Sì, le malghe venivano affittate e proprio questa rendita costituiva un’importante voce nei bilanci dei comuni. Per esempio, nel 1478 pastori di Grigno in Valsugana avevano in affitto i pascoli di Valagola, nel Brenta meridionale. Ancora, i comuni di Caldes, Terzolas e Samoclevo nel 1605 affittavano le loro malghe a Giovanni di Vione in Valcamonica, che per sette anni avrebbe portato al pascolo capre e pecore nella montagna di Saent. Nel 1868, l’esploratore e alpinista boemo Julius Payer, parlando di Saent, notava che “gli estesi pascoli della valle sono affittati a pastori lombardi che pagano per tre mesi 1000 fiorini ogni anno, facendoci pascolare 1500 pecore”.



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